VEGLIA MISSIONARIA DELL’INVIO
“Battezzati e inviati per la vita del mondo”
Venerdì 11 ottobre 2019, Basilica Cattedrale di Padova
Omelia
Grazie don Luigi e p. Lorenzo per le vostre belle testimonianze e anche per tutti coloro che sono qui presenti e che sono in missione e che abbiamo ascoltato con voi; ringraziamo pure tutti quelli che vivono in missione e che non sono presenti qui con noi. In questo modo, questa sera il nostro cuore si allarga e ci permette di pregare con più intensità. Sono contento anche che ci siano Isabel e il gruppo ‘Rinascita’, di cui sono diventato anch’io amico grazie a p. Lorenzo.
Questa sera, il libretto che avete tra le mani porta un titolo: “Battezzati e inviati per la vita del mondo”. La mia attenzione si è concentrata su una vocale: quella “e” contenuta nel titolo: una piccola, semplice, povera “e”. È una congiunzione che collega e tiene in equilibrio due grandissimi pilastri: il battesimo e la missione, il battesimo e l’invio, battezzati e inviati.
È una congiunzione che indica un legame che non possiamo, oggi, dare per scontato e forse pochi, anche tra noi, ritengono che possa e debba ancora essere necessario.
Solidarietà, servizio al bene comune, promozione dei diritti e della dignità di ogni uomo e donna, anelito alla Giustizia e alla Pace, custodia della casa comune, dell’ambiente, della terra e tanti altri valori umani, sociali, culturali vedono molti di noi, qui presenti, in prima fila come sostenitori, operatori, promotori. Qualcuno anche a rischio della stessa vita personale.
Centinaia e migliaia di persone sono partire da Padova per andare in tutto il mondo, per condividere un po’ del cammino da noi fatto, anche talvolta a scapito del puro annuncio del Vangelo, nel campo del progresso: salute, istruzione, formazione scolastica, promozione della donna sono state le nostre attenzioni principali; abbiamo riversato presso i poveri tanti beni e tante offerte, oggi anche tante competenze e professionalità; abbiamo anche avviato processi di coscientizzazione, di giustizia. Qualcuno ha detto che a volte si andava oltre, troppo verso la politica. Ricordo solo, attivo in questi tanti impegni, il servo di Dio padre Ezechiele, o il nostro presbitero don Ruggero, di cui abbiamo celebrato qui e a Manaus il decimo anniversario della morte proprio in questi giorni.
Anche stasera viviamo un “rito di invio”.
Emerge soprattutto l’attenzione all’Africa e alla salute, come si vede dall’elenco di coloro che noi invieremo, ma sappiamo che molti fratelli e sorelle stanno operando in tutto il mondo e stasera volentieri li vogliamo ricordare in questa preghiera.
Fare del bene è sempre esperienza bella, buona e che ci fa crescere.
Anche molti giovani si sono resi disponibili e hanno dato testimonianza, in tante occasioni, di aver ricevuto moltissimo dall’incontro con i poveri, più poveri.
E allora quella vocale, perché quella “e”? Vuole forse creare una dipendenza del nostro desiderio di far del bene dalla fede, come se fosse un legame necessario e inscindibile?
Noi cristiani abbiamo fatto, in questi tempi, tanta strada per dire che il battesimo è un’esperienza importante, ma riconosciamo sempre più la preziosità della solidarietà e della missione al di là della fede. Abbiamo imparato a vedere il bene seminato ovunque e ci siamo fatti fratelli di ogni uomo e donna di buona volontà. In questi ultimi anni ci hanno insegnato a cercare e riconoscere il bene da qualsiasi parte venga, ovunque sia seminato. Ci siamo educati a sentirci fratelli di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà. A insegnarci questo sguardo, ricercatore di ogni bene e di tutto il bene che il Padre distribuisce sia sui buoni che sui cattivi, è il Signore Gesù: da lui abbiamo imparato a voler bene a tutti e a riconoscere il bene ovunque venga seminato e da chiunque venga operato.
Il nostro contesto sociale e culturale sembra aver bisogno che quella “e” segnali non solo congiunzione ma anche distinzione. Forse per reazione a un collegamento troppo stretto e troppo imposto proposto nel passato. Qualcuno desidera indipendenza dalla fede, e si può dire che non c’è bisogno di essere credenti e cristiani per far del bene!
Non so se per noi si tratti del maturare di una coscienza solidale che desideriamo condividere con tutti, con la speranza anzi che maturi in tutti, o se si tratti dell’ecclissarsi di motivazioni spirituali e religiose, del dilagare di una forma di freddezza nei confronti di esperienze che ci sono state imposte e che non abbiamo mai maturato personalmente.
Ma c’è proprio bisogno di quella “e”, ossia di tener agganciato al battesimo il servizio ai poveri e agli ultimi? Non potremmo essere soltanto inviati?
Da parte mia, quella “e” vuole essere un canale per esprimere il nostro apprezzamento, la vicinanza, la stima nei confronti di tutti gli operatori di bene. Con loro ci sentiamo di poter camminare insieme perché ci riconosciamo negli stessi valori e ideali. Quella “e” è una mano che noi tendiamo.
Da parte nostra, di noi credenti, si apre uno spazio di umiltà: non siamo i soli a lavorare per il bene, forse non siamo più nemmeno i migliori. Addirittura riconosciamo pure di aver commesso tanti errori nel nostro agire. Molti non credenti o appartenenti ad altre fedi religiose e confessioni cristiane possono insegnare tanto anche a noi, che pure abbiamo da sempre il Vangelo in mano e nel cuore.
Si apre uno spazio per sostenere e incoraggiare tutti quelli che lavorano e si pongono a servizio degli altri. I battezzati vedono, sostengono, incoraggiano e si rallegrano nel vedere la Grazia di Dio che opera e che li precede. Quella piccola “e” dice innanzitutto il nostro rispetto e la nostra stima per tutti gli inviati a servire la vita.
L’altro pilastro è il battesimo: battezzati e inviati.
Molti, tra coloro che sono stati inviati tra i poveri – e a proposito può essere interessante discernere da dove è venuta questa sensibilità e questa disponibilità a partire: chi te l’ha fatto fare, e che cosa ti ha mosso e come mai hai accettato di partire?…-, sono partiti con motivazioni umanitarie e di solidarietà umana che non prevedevano questo aggancio, sono partiti per un moto prevalentemente personale o individuale.
E tra questi, partiti con motivazioni personali, molti sono tornati cambiati: è cambiato il cuore, cioè qualcosa di profondo. I poveri annunciano il Vangelo, parlano di Dio! I poveri, quando li incontri, ti benedicono, sono una benedizione e sanno portarti una voce che non senti in mezzi ai rumori. Dai poveri e dalle sofferenze, dagli umiliati e dagli oppressi scaturisce un movimento di Grazia, un anelito di Pace e di bene che ti investono e ti coinvolgono e ti fanno sentire più uomo, contento di essere uomo e di essere vivo.
Qualcuno, partito per fare del bene, si è accorto di avere lui stesso sete di qualcosa che prima non percepiva; di essere anche lui assetato più di quanto non potesse immaginare; partito per insegnare e aiutare, si è ritrovato cercatore e bisognoso di quella fonte che i poveri gli hanno fatto scoprire e gustare. Che esista una sorgente che disseta oggi, e domani e sempre? Una fonte che zampilli per sempre? Che esista questa fonte che non ti fa perdere il legame con la vita dei poveri e con la loro benedizione?
È così che molti si sono trovati immersi in quel fiume di acqua che ha la sua origine dal costato di Gesù, il Signore, che dalla croce dà avvio a uno zampillo – ricorderete che acqua e sangue sono scaturiti dal costato di Gesù – capace di dissetare chiunque abbia sete di amore e di senso, proprio quell’amore e quel senso che i poveri hanno saputo far sgorgare anche dal cuore di chi li ha incontrati, dal tuo cuore.
Dall’invio e dalla missione umanitaria è possibile risalire alla fonte, compiere il percorso inverso a quello a cui eravamo abituati e quella piccola “e” ce lo ricorda: Battezzati e inviati, ma potremmo dire anche: inviati e battezzati!
Non possiamo però abbandonare la vecchia direzione del cammino che parte dal battesimo e porta alla missione.
Ogni battezzato è mandato a portare il regno di Dio nel mondo, in tutto il mondo: quello esteriore e lontano e quello interiore e vicino! Quello dei gesti e quello della cultura; quello delle relazioni e quello delle opere.
Sabato scorso, in occasione della nostra assemblea diocesana ho asperso con acqua, in memoria del battesimo, tutti i presenti e tutte le comunità da loro rappresentate. Ho compiuto lo stesso gesto anche questa sera. Io aspergo – per stile mio – con abbondanza tanto che un solo secchiello di acqua non mi è sempre sufficiente. Quando compio quel gesto il mio cuore e il mio pensiero ricordano la notte di Pasqua quando gli adulti celebrano la loro pasqua annuale e fanno memoria del loro battesimo. Soprattutto vado a ricordare i cento e più adulti che da quando sono a Padova ho inserito nella vita nuova attraverso il battesimo. Vedeste la loro gioia! È gioia contagiosa, commovente.
In genere sono persone semplici e povere. Qualcuno anche dai campi di accoglienza che c’erano a Cona e a Bagnoli. Lì, negli occhi dei catecumeni, vedo ogni anno la gioia di chi sa scegliere il Signore, seguirlo, trovare in lui l’amore di cui abbiamo sete e che esperimentiamo nell’incontro con i poveri, e di cui i poveri ci sono memoria, quel senso della vita che ci rende capaci di rispondere generosamente anche nei momenti più difficili.
Mi riferisco a quella esperienza perché coinvolge gli adulti, la fede cristiana è questione per grandi, per adulti, per persone responsabili delle proprie azioni e dei propri pensieri, per chi può rifiutarsi e la cui scelta quindi nasce dalla propria libertà: è la Chiesa degli adulti che è battezzata e inviata nel mondo, e va nel mondo liberamente.
La Chiesa, il cristiano, il battezzato ha bisogno della missione come la missione trova energia e forza nel battesimo: battezzati e inviati per la vita del mondo. È un onore questa “e”, è un onore poter passare dal nostro servizio e dalla nostra missione a scoprire Gesù, ed è un onore essere mandati da Gesù, in forza del battesimo, in missione.
Vorrei concludere leggendo una citazione di Dom Pedro Casaldáliga, che è riportata anche sul libretto:
«Vorrei che tutti potessimo visitare,
almeno con lo spirito,
il fonte in cui siamo diventati figli di Dio,
immergerci nuovamente in esso
e scoprire la missionarietà del nostro Battesimo.
Devo essere missionario!
Se non sono missionario,
non sono neppure cristiano!».
[Dom Pedro Casaldáliga]
+ Claudio Cipolla, vescovo