VEGLIA DEI GIOVANI
10 dicembre 2020, Basilica di Sant’Antonio, Padova
Riflessione
«Per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7) oppure, in altre traduzioni, nell’albergo o in una stanza della casa; ma, abbiamo ascoltato, ha trovato posto nel cuore e tra le braccia di Antonio.
La mia domanda questa sera, con la quale vorrei commentare questa bella immagine, è se stesse cercando spazio nel tuo cuore e tra le tue braccia.
Questo breve brano che è stato proclamato è come un’opera d’arte. Io scelgo soltanto questo particolare che è stato posto al centro della nostra attenzione: «Non c’era posto per loro». E vorrei, insieme con te e con tutti voi, guardarlo da più prospettive perché in questo modo mi sono sentito interpellato molto anch’io: «Per chi non c’era posto?».
Non c’era posto per Maria. Pensando a lei io penso alla comunità credente, alla Chiesa. Non c’era posto per Gesù, il Figlio di Dio, perché era avvolto nel mistero, era nascosto nella carne. Non c’era posto per Giuseppe, il compagno terreno e padre di Gesù. Padre nella tenerezza, come ci insegna papa Francesco, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, dal coraggio creativo, un lavoratore, che ha vissuto accanto a Gesù nell’ombra. Per loro non c’era posto. Per la Chiesa, per il Figlio di Dio e per il credente che accompagnava questa esperienza.
Anche nella nostra vita potrebbe esserci una qualche chiusura, anche nella nostra vita potrebbe non esserci spazio; attualizzando, nei confronti della Chiesa, della comunità dei credenti, potrebbe esserci chiusura nei confronti del Figlio di Dio e di quei testimoni che ci parlano in modo umile, silenzioso, della loro fede nel Signore.
Penso che nessuno di noi voglia tenere chiuse le porte al Signore, solo che non c’è posto, non c’è una volontà, c’è una costatazione: Non c’è posto. Perché non c’è posto in quell’alloggio? O forse potremmo dire anche: Perché non c’è posto nei nostri cuori? Io penso semplicemente perché ci sono tante cose, non cose cattive, brutte, ma ci sono tante, troppe cose, tante attività, tanti interessi, bisogni di sicurezza, di affetto, tante amicizie, tante relazioni più o meno profonde o superficiali, e poi c’è lo studio, il nostro dovere, quindi il gioco, il tempo libero: insomma una giornata che in genere si presenta molto piena, per cui non c’è posto per il Signore. Questo è il nostro rischio.
Però, pur non essendoci posto nel nostro cuore, come non c’era posto in quell’alloggio per Maria, per Giuseppe, per il Bambino che doveva nascere, eppure ci sono le doglie del parto. In questa frase – «Non c’è posto per loro nell’alloggio» – non si fa ancora riferimento, ma noi lo immaginiamo, essi cercavano un posto perché c’era un’urgenza, un bisogno, non si stava bene. Certo, si attendeva un bambino, quindi era una preoccupazione comprensibile e bella, ma era pur sempre una preoccupazione che riguardava la salute.
Queste doglie non è che possono assomigliare alle nostre sofferenze, ai nostri percorsi di ricerca, ai nostri tentativi, al nostro bisogno di nascere, di esprimerci, di aprirci a tante esperienze, a tante conoscenze? È un’immagine delle nostre insoddisfazioni: Quante volte siamo un po’ tristi perché c’è qualche cosa che non ci dà sicurezza, non ci dà soddisfazione, non ci rende contenti… Io penso che dentro quelle doglie del parto possiamo vedere tante nostre giornate nere.
In questo contesto di ricerca di un alloggio, di sofferenza, di chiusura nei confronti del Figlio di Dio, c’è qualche cosa di inatteso e di sorprendente ed è la gratuità. Nonostante le porte fossero chiuse, nonostante non ci fosse posto per loro, viene lo stesso. Dio ugualmente viene a servirci, viene a confondersi con noi, a farsi nostro compagno, nostro amico, nostro sostenitore. Non ha atteso la nostra accoglienza, non ha atteso la nostra disponibilità, ma di sua iniziativa, per bontà, per generosità, gratuitamente, si fa presente nella vita e nella storia degli uomini, si dona pienamente, e anche senza essere accolto, nasce comunque, sempre.
Oggi, c’è qualche polemica attorno al Natale e alla celebrazione della messa. Certo, faremo fatica a celebrarlo in sicurezza, ma il Signore Gesù viene, e questo è ciò che dobbiamo conservare nel nostro cuore.
C’è qualcuno però che scopre e contempla questo mistero di gratuità e si accorge della presenza di Dio, se ne accorge Maria, cioè la comunità dei credenti. Oggi, lo sa bene Gesù, il Signore risorto, che conosce ciò che ha vissuto e sa che ancora oggi è tempo di dare risposta alle nostre doglie, alla nostra insoddisfazione; e lo sa Giuseppe, l’uomo, la donna credenti che oggi sanno prendere tra le braccia Gesù. Lo sanno anche coloro che sono bisognosi e umili, come Giuseppe, come san Francesco, sant’Antonio, come tanti amici e amiche che noi stessi abbiamo potuto incontrare.
E allora qui nasce una domanda importante: E tu? E io vorrei dire: e io, innanzitutto?
Ma mi vorrei rivolgere proprio a te: Perché non apri le braccia e accogli, come ha fatto sant’Antonio, Gesù? Perché non lo prendi sulle tue braccia, vicino al tuo cuore, così come sant’Antonio viene rappresentato spesso nelle iconografie?
C’è un percorso che in tanti modi sto cercando di presentare, che potrebbe essere segno di questa braccia aperte capaci di accogliere il bambino Gesù. È la proposta di saper pronunciare la propria fede di fronte all’assemblea, un’assemblea pubblica, di saper dire: “Signore Gesù, io ti prendo nelle mie braccia. Io credo in te”.
Io sono convinto che ce la facciamo, sono convinto che abbiamo questa forza, queste risorse, che lo Spirito del Signore ci dia questa capacità di aprire le nostre braccia anche quando gli altri ci vedono. Allora, sosteniamoci reciprocamente.
Siamo in tanti questa sera, ognuno nella propria casa, ma se ci guardiamo attorno c’è un amico, un’amica, un fratello, una sorella che si possono mettere insieme con noi perché le nostre braccia chiuse, il nostro alloggio pieno di tante cose possa spalancarsi e aprirsi all’intervento gratuito addirittura di Dio. Nessuno se lo aspetta. C’è bisogno di qualcuno che, come Maria, lo accolga, lo accompagni, come Giuseppe creda in quello che avviene.
Ora, ti invito a venire con me davanti alla tomba di sant’Antonio. Come centinaia, migliaia di pellegrini anche tu sarai con me davanti ad Antonio, anche a tuo nome presenterò la tua preghiera perché sant’Antonio la porti a Dio Padre, e tra le preghiere che farai metti anche quella di saper aprire le tue braccia.
Mentre porrò le mani sul marmo dell’arca e pregheremo tutti in silenzio, ti invito a scrivere i nomi delle situazioni o delle persone per cui vuoi pregare nella chat di youtube oppure con un messaggio al numero della Pastorale giovanile. Ma tra tutte le preghiere, anche se non la scrivi, metti quella che il tuo cuore si apra all’incontro con il Signore, che le tue braccia sappiano portare il peso leggero di un bambino, di Gesù.
+ Claudio Cipolla, vescovo