VEGLIA DI PASQUA
20 aprile 2019, Basilica Cattedrale di Padova
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Omelia
Penso che siate contenti di essere qui; lo sono senz’altro i catecumeni che chiedono il battesimo e che questa sera verranno battezzati nella nostra fede, quella fede che noi insieme vogliamo testimoniare. Ma, forse per contagio, ma non solo per questo, anche per la bellezza di quanto il Signore ci racconta in questa notte, penso che tutti noi abbiamo spazio per poter aprire il nostro cuore alla gioia. In fondo, la Chiesa è la comunità dei convocati per celebrare il Signore; e quale occasione per una convocazione più piena, più completa, più solenne di questa, con il vescovo, i presbiteri, i diaconi, il popolo di Dio. E quindi abbiamo proprio motivo di essere contenti, e se non lo fossimo, vuol dire che c’è qualche cosa nel nostro cuore che non sta bene e che chiede di essere convertito al Signore, orientato verso il Signore.
Ma molto spesso, questa nostra sofferenza è come uno spiraglio per poter andare oltre e per poter cercare, come si può intuire anche dal Vangelo che abbiamo ascoltato questa sera, dove si vede l’assenza del corpo di Gesù, il vuoto della tomba dove Gesù era stato collocato, assenza e vuoto che hanno sorpreso prima le donne e poi Pietro.
In effetti, vuoti e assenze, mancanze e distacchi, sono condizioni che creano angoscia, che destano nostalgie, che muovono sofferenza; ci interrogano sul senso delle nostre giornate e anche sul senso della nostra vita. Spesso si resta come “impigliati” in vortici di sentimenti e di emozioni che catturano e fanno di noi vittime del vuoto, vittime dell’assenza. Per uscirne abbiamo bisogno di qualcosa che ci venga a prendere, che si convinca a uscire; da soli non si riesce, e allora speriamo che qualcuno capisca e ci venga in soccorso, strappandoci, perché noi potremmo fare anche resistenza, da condizioni che rischiano di farci assaporare e gustare perfino le tristezze.
C’è bisogno di un annuncio: alle donne, di cui più avanti ci viene svelato anche il nome, si presentano due uomini in abiti sfolgoranti. La loro paura e debolezza, quelle create dal vuoto della tomba e dalla scomparsa del corpo, sono raccontate dal volto delle donne che viene descritto così: chinato a terra.
I due uomini dalle vesti sfolgoranti sono intervento straordinario, esterno al dolore circoscritto nella loro amicizia e nella loro solidarietà femminile e di gruppo. È un’apparizione, quella dei due uomini in vesti sfolgoranti, imprevista e imprevedibile. Erano angeli?
Questa comparsa fa aprire loro gli occhi, gli occhi del cuore, e sono aiutate a collegare il fatto della morte e della sepoltura di Gesù con i ricordi, con parole ascoltate nel passato. Il vuoto, non solo la morte, e l’assenza del corpo di Gesù cominciano a parlare; cominciano ad accendersi piccoli lumi e a essere riempiti di qualche cosa di bello. Da momento di angoscia, il vuoto diventa occasione di grazia. Le donne vanno a cercare nella memoria, nella propria memoria, fatti, parole, annunci, profezie… c’è stato bisogno di qualcuno però, che creasse e accendesse questo collegamento, che permettesse al vuoto di parlare, che permettesse all’angoscia e al pianto di diventare e di trasformarsi in attesa.
Quei due uomini con abito sfolgorante hanno dato inizio al Vangelo: un Vangelo prodotto dal nostro vuoto, che cerca e trova un senso, non solo una via di uscita per stare bene, ma un senso. Dice il Vangelo: «Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo», che senso avesse.
E nel ricercare appunto un senso, tornano alla storia di Gesù: nella storia di Gesù di Nazaret, nelle sue parole, le sue opere, nei suoi miracoli, nei suoi sguardi, nel suo camminare, in tutto… vanno, rovistano nei ricordi e cercano, e cercano un senso. È stata questione di vita! Su Gesù, quelle donne, avevano investito tanto.
Se non ci fosse stata quella storia precedente, il vuoto sarebbe rimasto vuoto; se non ci fosse stato quel vuoto angosciante, la storia di Gesù sarebbe rimasta una storia bella, interessante, ma solo nostra, storia di uomini esemplari o di eroi.
Erano, secondo Luca, tutte donne. Non so se avete notato.
Alle donne, per prime, Dio affida all’annuncio della Risurrezione, e le donne portano il kerigma, l’annuncio solenne, il primo annuncio. Dovremo meditare su questo spazio femminile individuato e sottolineato da Luca nel momento solenne della Risurrezione di Gesù, nel momento decisivo della storia del mondo.
Loro sono le prime evangelizzatrici. Hanno un nome: Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo. Forse, in quel muoversi “recandosi al sepolcro”, “al mattino presto”, “portando con sé gli aromi preparati”, e quindi c’è tanta intenzionalità di essere fedeli al Signore, sono nascosti sentimenti e atteggiamenti che trasformano un simpatizzante in discepolo, e un discepolo in missionario capace di raccontare il Vangelo.
Poi c’è Pietro. Tra i discepoli è il più ferito dalla morte di Gesù e della sua sepoltura. È il più sofferente, anche per le sue storie personali con Gesù; e quindi Pietro è il più predisposto alle illusioni e ai vaneggiamenti delle donne, così dice il Vangelo.
Come gli altri, infatti, lui stesso considera i discorsi delle donne vaneggiamenti. Tuttavia, Pietro si alza: non ci crede ma spera, non si sa mai!
“Corre” al sepolcro: trova tutto come avevano detto le donne, sepolcro vuoto e teli per terra.
Pietro allora torna indietro pieno di stupore. Non si dice di più.
Anche noi stanotte torneremo a casa pieni di stupore per quello che accade questa notte: otto nuovi nati alla vita nuova della Risurrezione, otto nuovi figli della luce, otto nuovi cittadini del cielo. Con loro, nelle nostre parrocchie, altri venticinque adulti verranno inseriti nella vita nuova dello Spirito.
Tanti, tutti noi, rinnovati nell’acqua, nella parola, nella carità; tutti noi invitati già su questa terra alla cena dell’Agnello, al banchetto delle nozze eterne, a quel banchetto dove la Chiesa, nostra madre ci attende.
Chiediamo allora il dono dello stupore come Pietro, quello stupore che ci rende anche contenti di essere comunque qui per grazia, per vocazione.
Ma imploriamo anche per noi l’intervento dell’Angelo, perché possiamo saldare insieme la memoria della nostra vita con le sue povertà, e l’intervento fedele di Dio con le sue meraviglie.
+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova