Veglia dei giovani
Lunedì 27 novembre 2023 – basilica Cattedrale
Riflessione
In questi giorni il nostro pensiero non può allontanarsi dalla tragedia che ha riguardato il nostro territorio e che ha coinvolto tutta l’Italia, con eco anche all’estero: l’assassinio di Giulia, la sua morte tragica, le sue speranze di ventiduenne deluse. Pensando a Giulia sentiamo anche la sofferenza, le domande, lo spaesamento di tutti i suoi amici e le sue amiche, le sue compagne e i suoi compagni di studio. Sentiamo il dolore della sua famiglia. Dolore che si aggiunge a dolore, accanto al vuoto che si è creato lo scorso anno con la morte di Monica, la mamma: uno sfondo nero come quelli di Giotto nella rappresentazione dei vizi e delle virtù.
Il mio pensiero per Filippo, il giovane – anche lui – che ha ucciso Giulia, è pure presente stasera e fa da sfondo. C’è anche lui: la giustizia umana farà il suo corso (lo domando anch’io) ma desidero andare oltre. Vorrei conoscere anche la giustizia di Dio: Lui che tutto sa, che vede nel nostro cuore, che ha una parola “ viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.” (Eb 4, 12 e s.). Lui conosce anche Filippo e gli vuole bene, e con lo stesso sguardo cerca e abbraccia la sua famiglia.
Sullo sfondo ci sono anche tutti quei giovani – immagino ci siano anche tra voi -che in questi tempi hanno fatto uscire dal loro intimo le urla di rabbia, di risentimento, di rancore. Gli stessi giovani altre volte danno sfogo ad un pensiero che sembra incontrollato e fin troppo istintivo: è la fatica della ricerca, una fatica che parla di sofferenza, di angoscia, di solitudine, di nonsenso. Li seguiamo con fiducia ma nessuno può fare questa fatica al loro posto – al tuo posto-; ognuno è il padre dell’uomo che sarà e la madre della donna che sarà.
Possessività, giochi infantili ed adolescenziali di prepotenza e di violenza, talora di bullismo, esperienze subite o partecipate di aggressività e sopruso che violano e uccidono prima dei corpi le anime, i cuori e la mente.
Nel lungo cammino verso l’umanizzazione della convivenza sociale, verso la fratellanza umana appaiono le prime violenze, come monito di una condizione iniziale, creaturale. Risale alle origini del mondo il primo fratricidio, quello di Caino contro Abele: sono i primi figli dell’umanità, una immagine della condizione umana.
Diritti e doveri sanciti dalle costituzioni statali, come tutto l’ordinamento legislativo che regola il vivere sociale, indicano il cammino degli uomini; le leggi dicono il livello di civiltà e di cultura a cui possiamo arrivare noi, uomini e donne, con la nostra esperienza e la nostra ragione; rispetto ai secoli scorsi abbiamo compiuto passi da gigante nel campo della giustizia, del diritto internazionale, nel campo dell’equità a livello economico ma nessun ordinamento potrà mai superare la nostra fragilità creaturale che rende sempre deboli e precari ogni valore e ogni legge. Siamo povera gente, non sempre padroni di noi stessi: anche questa nostra debolezza è lo sfondo nero di Giotto.
I vangeli però ci chiedono attenzione: in questo sfondo si è collocato Gesù.
Si è fatto povero, si è fatto fragile, si è spogliato di ogni bellezza. Il suo volto si è sfigurato fino ad assomigliare a quello dei disperati. Stiamo attenti a condannare i prigionieri del male perché Gesù ha scelto di confondersi proprio dentro questo sfondo così nero: egli è il carcerato, il forestiero, l’affamato, il disperato, il peccatore. E’ un crocifisso di cui qualche tratto è rinvenibile anche nella disperazione dipinta da Giotto.
Dentro questo sfondo nero quindi andiamo a cercare anche lui: come Maria di Magdala al sepolcro quando era ancora buio, come le pie donne ed il centurione ai piedi della croce, quando si fece buio su tutta la terra.
E purtroppo c’è uno sfondo nero anche nel cuore di ciascuno di noi.
Da quale sfondo nero cerchiamo il Signore? In quali percorsi affettivi, spirituali, intellettuali stiamo vagando, in quali esperienze ci inoltriamo per comprendere la nostra strada e la nostra vocazione?
In questo sfondo nero poniamo la speranza cristiana: sta sollevata con quell’ala che non ci appartiene perché è di Dio e con il battesimo abita proprio nei nostri corpi. Vorremmo farla volare su questo nero, vorremmo, per grazia di Dio, farla esistere sopra questo nero, vorremmo sospenderla su questo nero e darle un movimento, perché il nero non ci risucchi e tutto diventi disperazione.
La ricerca diventa allora personale: che possibilità ho di dare un orientamento o un senso alla mia vita, di intuire uno spiraglio o una breccia nel buio della mia notte? Come posso tendere le mani verso l’alto, mettermi in cammino, consegnare la mia libertà a qualcuno (Chi?) a cui appartenere per essere libero?
C’è qualcuno, qualcuno di credibile, che si accorge di questa mia ricerca e si affianca a me, disposto ad indicare la strada, la verità, la vita?
Gesù con il suo Vangelo. Lui ci porta la speranza. Lui è la speranza!
ci insegna la strada dell’amore quello vero e ci insegna a vivere per l’amore; ci insegna anche a ricominciare e a perdonare gli altri e noi stessi.
Gesù ci insegna ad uscire dal nostro buio, ci chiama come ha chiamato dalla morte il figlio della Vedova di Naim e come ha chiamato Lazzaro, che già malodorava, dal suo sepolcro. Ricordiamo le espressioni di Gesù: rinunciando al proprio “io” si rinasce e si vive.
Nella storia della nostra comunità ci sono stati, e ci sono, tanti testimoni. Non sono solo i santi riconosciuti e collocati sugli altari ma anche quei santi che abbiamo conosciuto noi stessi in casa o in comunità.
Con estrema umiltà questa sera altri 12 giovani prendono la strada di Gesù e del suo Vangelo, dichiarano la loro fede di fronte ad una numerosa assemblea di testimoni. Pubblicamente, da adulti, chiedendo la vostra preghiera e il vostro sostegno, anche in futuro.
Lo fanno ben consapevoli di ciò che dicono e di ciò che scelgono. Assomigliano a quella donna che Giotto descrive come immagine della speranza: per grazia si volgono verso l’alto, escono dal buio, accolgono una voce e una luce che vengono dall’alto, accettano di mettersi in cammino, accettano di appartenere a qualcuno, al Signore Gesù, figlio di Dio, escono da se stessi e attendono da Dio e non solo dagli uomini il giudizio finale.
E ora mi rivolgo personalmente a ciascuno di voi: la tragedia di Giulia, la scelta di fede di questi tuoi coetanei, i santi della porta accanto ti spronino a cercare come vivere la vita nella speranza. La speranza, come dicono alcuni uomini spirituali, è sorella minore della fede e della carità: insieme dischiudono orizzonti di gioia e di luce.
+ Claudio Cipolla,
vescovo di Padova