Solennità di San Prosdocimo 2024
Giovedì 7 novembre 2024
Padova, basilica di Santa Giustina
omelia
Questa solennità si ripete di anno in anno. Indica l’origine della nostra Chiesa diocesana e ci fa risalire, con la memoria e se possibile con il cuore, ai primi momenti quando qualcuno ha cominciato a dire “Gesù”, “Vangelo”, “Risurrezione”, Spirito Santo, Comunità, Chiesa… Singole parole cristiane, poi pensieri e sentimenti, poi riflessioni, storie, testimonianze di vita…; si accese nei primi secoli un piccolo fuoco: erano i tempi di santa Giustina, di san Daniele, di san Prosdocimo, e da lì un fuoco sempre più grande, un fuoco che cresceva con il crescere del numero di cuori che accoglievano la Parola del Vangelo.
Questa festa viene celebrata e ripetuta ogni anno così come si ripete un comandamento. Sempre uguale. Vista la sua “fissità”, un comandamento può dire niente o ricordare ciò che è ovvio o aprire un percorso di ricerca che arricchisce addirittura un’intera vita.
Questa festa mi ricorda il 4° comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Anzi mi sembra una festa che ci apre fessure attraverso le quali comprenderlo.
Onorare significa dare peso, dare valore, significato.
Onorare il padre e la madre allora significa dare importanza a chi ci ha generati alla vita. A causa del padre e della madre siamo inseriti in una geografia precisa, in luogo che ci ha formati, in una società di cui siamo diventati parte, in una cultura che ci porta a condividere mentalità, consuetudini, gusti, dialetti.
Siamo figli di una storia, non ci siamo autoprodotti e mai potremo cambiare i nostri connotati: sono frutto di una lunga catena di storie, di incontri, di pensieri…
“Onorare il padre e la madre” significa allora conoscere e riconoscere se stessi, accettare la propria vita come dono, valorizzare se stessi e la propria individualità come unici ma anche come legati e connessi strettamente gli uni agli altri.
Anche san Prosdocimo ci ricorda questo comandamento, ce lo ricorda soprattutto nel ministero dell’annuncio del Signore Gesù. La trasmissione della fede è una nostra preoccupazione tanto che da tempo stiamo riflettendo sulle modalità intraprendendo – soprattutto per i bambini – strade nuove che ora stiamo verificando. Come Chiesa locale ci interroghiamo anche sull’annuncio agli adolescenti, ai giovani, alle giovani famiglie, agli adulti. Ci troviamo nella condizione di pensare, per una società di antica tradizione cristiana, a un nuovo stile di evangelizzazione.
Sono quello che sono perché frutto di una storia, una storia che ha le sue radici in Gesù e nel mandato che Gesù ha dato ai suoi apostoli e che a noi – secondo la tradizione – è giunto tramite san Prosdocimo; noi siamo frutto di una storia che ci accomuna e che ci unisce gli uni agli altri. E si tratta di una storia spirituale non solo umana. Tanto che il salmista ci ha fatto cantare: «Canterò in eterno l’amore del Signore, di generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà».
Succede tante volte che i bambini, quelli piccoli, che stanno imparando a parlare, puntando il dito chiedano: cos’è questo? C’è un tempo in cui ripetono fino a stancare “cos’è” indicando una dopo l’altra un’infinità di cose: è il loro modo di aprirsi al mondo e di scoprirlo imparando i nomi. Ma arriva anche il tempo in cui quel bambino, diventato un po’ più grandicello, chiede: chi è Gesù? Dov’è adesso? Perché è sulla Croce?
Onora tuo padre e tua madre indica che noi adulti abbiamo peso per i bambini, abbiamo valore e per loro siamo molto importanti. Per questo ci pongono domande. È un onore e una gioia essere interpellati da loro.
È allora il momento di assumerci il nostro compito: di porci di fronte al nostro bambino, e di fronte ad ogni bambino che ci interpella, come la generazione che narra all’altra le meraviglie del Signore. Sono di fronte al bambino con la responsabilità che mi viene da un noi che rappresento, con la gioia di sentirmi padre e madre della sua vita spirituale e umana. So di non potermi sottrarre; so che non posso delegare ad altri le risposte, so anche di essere piccolo nel parlare di dimensioni così importanti e profonde come quelle pretese – giustamente – dai nostri bambini.
«Quando domani tuo figlio ti chiederà cosa significa questo, tu gli risponderai: «Con la forza della sua mano il Signore ci trasse fuori dall’Egitto, dalla casa della schiavitù» (Es 13,14-15). È la generazione che narra all’altra, non solo un io ad un altro io.
Si genera un figlio e il futuro della nostra società e della nostra Chiesa inserendoli in una storia, in una cultura, in una comunità, in una fede, in una casa, come stiamo dicendo e vivendo questa sera. Questa è “tradizione” nel senso proprio di consegna, di trasmissione da una generazione all’altra. Per questo celebriamo san Prosdocimo.
La solennità di san Prosdocimo può svuotarsi di significato e di capacità di generare vita se e quando diventasse solo un atto di devozione individuale o sterile ripetizione di un obbligo o una semplice consuetudine.
Il nostro tempo corre un rischio, quello dell’irrigidimento; pensare cioè che il Vangelo o l’amore siano trasmessi ripetendo quello che si è sempre detto o fatto. Solo l’amore genera l’amore. Solo la pace genera la pace. Solo la giustizia genera la giustizia. Non sono le cose, le parole, le istruzioni che generano ma è lo spirito che le anima che ha capacità di generativa. Di fronte al momento della sua morte, san Massimiliano Kolbe proclama: «L’odio non serve a niente, solo l’amore crea!».
Lo sguardo sul mondo, sul cambiamento delle culture e delle politiche, l’attenzione ai nostri giovani e ai loro linguaggi chiedono che anche in noi si intraprendano percorsi di creatività, di rinnovamento. Il racconto che offriamo al bambino o all’amico sia in realtà occasione per evangelizzare noi stessi, sia un modo sempre nuovo e aggiornato di conoscere Gesù via verità e vita.
Allora il nostro cuore che ama l’altro gli parla con il linguaggio che lui può comprendere: un bacio o un rimprovero o un insegnamento. È il cuore che intona il canto eterno dell’amore del Signore. Un bacio non è mai uguale a un altro perché è sempre vero e nuovo, così il Vangelo che attendono i nostri figli e che attendono le donne e gli uomini nostri contemporanei. Diversamente invece di generare inneschiamo dinamiche sterili.
I “fedeli servitori” ricordano alcuni dei mille linguaggi con i quali una generazione narra all’altra le meraviglie del Signore. I bambini possono trovare risposte alle loro domande, i giovani e gli adulti possono vedere l’amore che si fa servizio; le comunità possono sentirsi incoraggiate. Ed è per questo che li raggiungiamo con il nostro grazie, simbolico ma sincero e profondo, in questo giorno in cui la Chiesa di Padova celebra e ricorda, attraverso san Prosdocimo, le sue radici.
+ Claudio Cipolla