GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA
28 gennaio 2018 – Basilica Cattedrale, Padova
Omelia del vescovo Claudio
Buona domenica a tutte e a tutti.
C’è una parte bella, simpatica nell’incontrarci tutti insieme, perché siamo in tanti e perché, in fondo, ci sosteniamo reciprocamente vedendoci così numerosi e così attenti alla preghiera, alla Parola e al canto; si vede che dietro c’è il nostro cuore che partecipa.
Abbiamo pregato con queste parole:
«Concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità di Cristo».
Questa preghiera ha accompagnato, oggi, tutte le comunità cristiane su tutta la terra, in questo giorno che appartiene al Signore, e con questa preghiera tutti ci siamo rivolti al Padre che sta nei cieli.
I fedeli siamo noi, noi che preghiamo in questa Cattedrale, oggi: ci unisce la dedizione della nostra vita al Signore. Una dedizione, una consacrazione che abbiamo offerto probabilmente quando eravamo ancora giovani. In realtà, noi qui presenti, siamo un po’ speciali come fedeli: però non più in alto degli altri, perché noi siamo consacrati per il Signore e per la Chiesa.
Siamo qui per le nostre comunità cristiane e anche per gli amici che abitano nel nostro territorio, quelli che vengono poco alle nostre assemblee, quelli che sono in questi tempi arrabbiati con la Chiesa: siamo qui per loro, per parlare del Vangelo al mondo con la nostra stessa vita.
La preghiera, quando parla di “fedeli” non parla però di noi. Anche di noi, ma soprattutto parla di tutti i cristiani, di tutti i battezzati.
Per loro – noi qui convocati – chiediamo che sappiano adorare Dio con tutta l’anima e che possano amare i fratelli e le sorelle nella carità di Cristo: sono richieste belle, altissime, profondissime. Richieste che potremmo fare anche per ciascuno di noi, arricchiti da un’intensità di relazione con il Signore nella quale ci siamo immessi con una promessa e con voti che riguardano tutta una vita.
«Adorare Dio con tutta l’anima»: mi sembra di cogliere la speranza e la vocazione proprie di una vita “consacrata”. Adorare con tutta l’anima è segno di un amore senza misura, come quello di Maria quando sparge di olio profumato i piedi di Gesù (icona biblica che ci sta accompagnando in questo anno pastorale, cfr. Gv 12,3), ma anche come quello di una madre, un amore senza misura. «Adorare Dio con tutta l’anima» vuol dire amore totale, esclusivo, indiviso, che coinvolge tutta la vita di una persona.
È un’intensità di relazione che difficilmente può essere mantenuta allo stesso livello per tutta una lunga vita. Ogni amore ha una storia: inizia, si affievolisce, si riprende; ci sono momenti di stanchezza, di dubbio, di crisi. Un amore che si modifica, anche, nel tempo, perché è vivo, vive con noi, con il nostro cuore, con il nostro carattere. Per questo, pregare di avere il dono dell’adorazione con tutta l’anima è una preghiera che ci raggiunge come un desiderio giovane, che ci mantiene giovani: è desiderio di freschezza, di verità. È memoria cara e fondamentale per poter attraversare gli anni e le difficoltà di tutta una vita.
Anche la seconda richiesta della Colletta merita attenzione: «Concedici di amare i fratelli nella carità di Cristo». Ciò che dà particolarità a questa preghiera è quindi la “carità di Cristo”.
Ricordate quando Paolo dice che l’amore di Cristo è stato riversato nei nostri cuori? È il dono dello Spirito, è il cuore di Gesù nei quali noi ci collochiamo come nostra casa, nostro habitat: lui, il Signore Gesù Cristo, viene ad abitare tra noi perché noi possiamo abitare in lui. E per lui, con lui e in lui, amare i nostri fratelli e sorelle e rendere onore e gloria a Dio: esperienze, quelle dell’amore di Dio e dei fratelli, che alla fine si fondono per esaltarsi reciprocamente.
In questa luce noi diventiamo testimoni dell’amore del Signore: non perché facciamo particolari gesti di amore, ma perché abitiamo nel suo amore, il suo amore è la nostra casa.
Diventano secondari la mansione o il servizio che ci vengono affidati nelle nostre comunità, ciò che è essenziale è questo collocarci nell’amore di Gesù, nella sua carità: abitare Dio è la nostra testimonianza e il nostro speciale modo di annunciare il Vangelo come consacrati.
Ma ancora una volta domandiamoci: “Per chi sono queste parole?”.
E la risposta è questa: “Sono per tutti i cristiani, non solo per noi”.
Ecco allora la mia riflessione e anche la preghiera che vorrei rivolgervi a nome della Chiesa: come potrà, chi vive nel mondo, adorare Dio con tutta l’anima? Come potrà, chi vive nel mondo, amare i fratelli nella carità di Cristo?
Anch’io, anche i preti e i diaconi che vivono nel secolo, anche molti di voi, insieme viviamo a stretto contatto con il mondo e ne vediamo le difficoltà. Siamo esperti di problemi, di tentazioni, di prove: c’è da garantire la vita economica delle nostre famiglie e delle nostre comunità, l’educazione dei ragazzi e dei giovani, c’è da sostenere il confronto con nuove mentalità e culture diverse… e poi siamo oberati da restauri, scuole, case di riposo, contratti di lavoro, monumenti e arte…
Oggi, da noi si corre tanto, ci si affanna; come possono i fedeli del Padre e di Gesù mantenersi nella vita nuova dello Spirito? Adorare Dio con tutta l’anima e il fratello nella carità di Cristo? Capite quanto è grande la preoccupazione con la quale pensiamo ai nostri fratelli cristiani che vivono nel mondo?
Dice Paolo: «Vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa di piacere al Signore» (1Cor 7,32). In questa affermazione, viene ricordato il senso della nostra eccezionalità: preoccuparci di piacere al Signore! Questa è la nostra peculiarità, il nostro senso. Così vogliamo usare della nostra vita e della nostra libertà.
Tante condizioni che abbiamo accolto come proposta del Signore e che poi abbiamo scelto come nostra strada ci aiutano e favoriscono il nostro desiderio di piacere al Signore.
Mentre chi vive nel mondo viene continuamente raggiunto e tentato da sensibilità e mentalità individualistiche, noi ci siamo dati una regola, ci siamo affidati a una vita fraterna e comunitaria. A volte penso che anche il matrimonio cristiano debba essere come un sostegno reciproco tra un uomo e una donna che vogliono restare fedeli al Signore e che vogliono realizzare la propria vocazione cristiana. Ma certamente per noi è chiaro che la vita fraterna e comunitaria è il luogo dove custodire la nostra strada. Noi, ci siamo orientati ad avere una fecondità diversa rispetto a quella della generatività naturale: siamo stati chiamati a essere fecondi secondo lo Spirito, e siamo “padri” e “madri”, cioè ci sentiamo responsabili della vita interiore e spirituale di tanti fratelli e sorelle. Noi abbiamo accolto la capacità di affidarci e di stare nella volontà di Dio, rinunciando ad avere una nostra ed esclusiva volontà; noi abbiamo accolto il dono della libertà da beni e ricchezze per essere preoccupati solo di Dio, per piacere a lui.
Sono solo alcuni dei carismi che il Signore vi ha offerto per il bene della nostra Chiesa.
E la Chiesa di Padova, con i suoi fedeli che vivono nelle cose del mondo, nelle città, nelle culture così variegate di oggi, sta facendo fatica ad adorare Dio con tutta l’anima e sta facendo fatica ad amare il fratello nella carità di Cristo. Per Chiesa intendo le nostre famiglie, i nostri giovani, gli operai, i poveri, gli anziani, gli ammalati. E guarda a voi perché ha bisogno della vostra testimonianza. Per questo siete un dono, un carisma offerto dal Signore alla nostra Chiesa diocesana e attraverso essa alla Chiesa universale.
Siete in tanti e noi ci aspettiamo tanto, ma nel campo dello Spirito: insegnate anche a noi le strade per piacere al Dio. Aiutateci ad adorarlo con tutta l’anima, sosteneteci nella nostra vocazione ad amare i nostri fratelli e sorelle nella carità di Cristo.
La vostra autorità, dice il Vangelo, è misurata dalla vostra fede. Anzi, è proprio la fede che vi conferisce quella autorità che vi rende profezia, che fa di voi un segno del Regno, che vi permette di insegnare come Gesù, come uomini e donne che hanno autorità come lui e non come i venditori di ideologie o di beni di questo mondo.
Cari fratelli e sorelle, consacrati al Signore, la Chiesa di Padova vi guarda, vi stima, vi vuole bene e ha bisogno di voi.
+ Claudio Cipolla