Mi sono emozionato quando ho accolto, anche a nome dei miei successori, le promesse dei primi diaconi che ho ordinato. Ma l’emozione si è sempre rinnovata in simili circostanze. Mi ha colpito la rilevanza della stima, della fiducia che ponevano nella Chiesa e quindi in me. Fiducia che aveva qualcosa di straordinario, di spirituale, di divino… sulla parola di Gesù!
Non mi è mai costato fare promesse e portarne le conseguenze, ma accogliere quelle degli altri mi ha gravato di senso di responsabilità, mi ha “legato” al dovere di dover contribuire per la gioia di quei giovani. Mi sono spaventato e mi sono chiesto se ero capace di portare il peso di quella fiducia. Non tanto se meritavo, quanto se nei miei limiti potevo portare il peso di tanta fiducia, di tanta stima, di quell’abbandono nelle braccia della Chiesa e del Signore di cui io dovevo essere immagine e strumento.
Adesso, con molta umiltà e per senso di servizio, chiederò a tutti voi di rinnovare le vostre promesse: lo farete nelle mie mani, nel grembo della Chiesa, nel cuore di Dio!
In realtà c’è uno sfondo più ampio e intenso in cui collocare le nostre promesse ministeriali: il battesimo, il nostro battesimo, quando, creature vecchie, destinate alla morte, siamo stati immersi nella Pasqua di Gesù come in un mare e ne siamo riemersi creature nuove, destinati alla vita eterna. È questa promessa di Gesù che sostiene le nostre promesse. Anche noi oggi promettiamo. Promettiamo di insegnare a professare questa fede alle nostre comunità e promettiamo di mettere a disposizione tutta la nostra vita perché il Vangelo risuoni in ogni cuore e in ogni casa.
La forza della promessa di Gesù di essere e di stare con noi, tutti i giorni; la promessa del suo amore personalizzato (per me) e totale (fino alla morte); la conoscenza della potenza della sua risurrezione e la visione delle azioni che da risorto compie ancora oggi: tutto questo ci permette di “osare” le nostre povere promesse e permette a me di ascoltarle, di credere che nascono dal vostro cuore di discepoli, di accoglierle come giogo dolce e leggero del mio ministero episcopale e della nostra Chiesa diocesana. Le vostre personali promesse, le voci di tanti che in questa santa riunione diventano un’unica voce – segno di comunione che ci circonda e anticipa –, e il mio ascolto estasiato di esse fanno nascere in questo giovedì santo una nuova speranza di Chiesa diocesana ancora più bella e santa di come l’abbiamo conosciuta finora.
Ancora una considerazione. Lo scorso anno dicevo che non sentivo ancora mio il registro famigliare utilizzato dalla liturgia quando parla di padre, figli, fratelli. Questo codice di tipo famigliare era ancora da costruire, aveva bisogno di tempo e di storia. Quest’anno possiamo dire di aver fatto qualche passo insieme: abbiamo sofferto insieme, abbiamo pregato insieme, ci siamo sostenuti e incoraggiati reciprocamente. La vergogna portata insieme ci ha avvicinati… chiedo al Signore di non trascurare nessuno degli insegnamenti che ci ha offerto in questi tempi; chiedo di non ignorare la Grazia che sovrabbonda nel peccato!
Rinnovare le promesse. Rendere nuove le promesse significa pronunciarle con una consapevolezza nuova, quella arricchita dalla nostra storia, quella che ricorda la fatica del promettere e anche le infedeltà delle nostre promesse, quella consapevolezza che ricorda anche la gioia della fortezza, della fedeltà, della fermezza dei nostri impegni.
Rendere nuove le promesse significa anche che oggi le pronunciamo come quando lo abbiamo fatto per la prima volta; rinnoviamo quella disponibilità e fiducia, quella stima e quella fede nella Chiesa e in Dio che vediamo nel cuore dei nostri giovani che consegnano in modo iniziale la loro vita.
Ci sono alcuni atteggiamenti umani che permettono di dare valore al nostro promettere.
Il primo è quello della sincerità e dell’onestà. Un tempo si diceva “sulla parola”, “dare la parola”. Ai catecumeni chiediamo l’iscrizione del loro nome: è come stampare una parola data. La promessa richiede sincerità, trasparenza. Non si promette da bambini, ma da adulti, quando la nostra capacità di dare la parola è stata messa alla prova dall’esperienza e siamo stati trovati capaci e credibili. Rinnovare le promesse non significa che non abbiamo sbagliato nel passato, ma che siamo veri adesso e che, con coraggio e con fiducia, guardiamo avanti: promettiamo ancora una volta!
Rinnovare le promesse richiede forza e significa riconoscere che anche la nostra dimensione umana è importante e fondamentale. Quel “Sì, lo voglio” mette in campo la volontà umana e la nostra individualità, fatta di storia, di relazioni, di ministeri che hanno formato e costruito quello che siamo adesso: quell’uomo che dice “sì io lo voglio”. A parlare non è il ruolo, non è il tuo ufficio, né la consuetudine, a parlare non è nemmeno il presbiterio né la comunità: sei tu!
Rinnoviamo le promesse tutti insieme. Il mio cuore di vescovo, interprete o segno del cuore di Gesù e della Chiesa, ricorda anche tutti gli assenti fisicamente: i preti fidei donum in Africa, in Brasile, in Ecuador, in Tailandia; i presbiteri ammalati e ricoverati all’Opsa o a Montegalda o negli ospedali; gli anziani. Considero presenti anche gli ammalati spiritualmente o psicologicamente. Facciamoci carico noi di portare quel “io lo voglio” che alcuni non sanno o non possono pronunciare perché feriti e sofferenti. Le domande che porrò avranno una risposta al singolare, ma sono poste al plurale: a rispondere è il presbiterio nel suo insieme! La tua risposta ha la nota della preghiera che Gesù rivolge a Dio non solo a favore dei suoi fratelli, ma anche al loro posto.
Infine rinnovare le promesse, pronunciarle oggi in modo sincero e responsabile, richiede di stabilire, soprattutto nella propria coscienza, luoghi di verificabilità. Papa Francesco ci ricorda che la realtà è più complessa della fantasia. Anche noi non possiamo sapere dove e come le nostre promesse saranno di appoggio al nostro camminare, perché appunto la realtà supera la fantasia, ogni tanto occorre fermarsi e capire se la nostra fede, la nostra forza d’animo hanno saputo governare la realtà e attraversarla rimanendo fedeli alle promesse. I fatti che ci attendono sono imprevedibili: sono luogo del nostro allenamento, banchi di prova dai quali dobbiamo uscire sempre più rafforzati nell’uomo interiore che si rinnova giorno dopo giorno.
Oggi in questo contesto liturgico risplendono anche tutti gli aiuti su cui possiamo contare. Ne abbiamo bisogno perché rinnovare il dono della nostra vita al Signore e alla Chiesa resta pur sempre un gesto straordinario. Uno di voi mi ha detto che ogni sera ringrazia il Signore per aver saputo donare quella giornata e averlo servito. È immane il prezzo della fedeltà quotidiana e abbiamo bisogno di aiuto.
A sostenerti ci sono io, con quello che il Signore può trasmettere, nonostante la mia povertà e semplicità a livello di Grazia; a sostenerti ci sono gli altri fratelli presbiteri: figli della stessa speranza, della stessa vocazione. Io e tutti gli altri presbiteri e diaconi, ci siamo per aiutarti. Abbi il coraggio di bussare se sei nella necessità. E anche tu renditi disponibile e permettici di contare su di te.
Sono presenti anche i nostri fedeli cristiani, quelli che incontriamo alla domenica nelle comunità territoriali, i santi secondo san Paolo (a questo incontro sarebbe significativo invitare almeno qualche rappresentante dei nostri Consigli pastorali). Sono quelli che vivono nel mondo, è il popolo sacerdotale continuamente messo alla prova e sfidato da culture, mentalità, problemi e drammi. Eppure anche loro, i nostri cristiani, quelli per i quali siamo chiamati al ministero, sono nostro sostegno. Il loro affetto, le loro collaborazioni, ma anche la docilità con la quale ci seguono, le responsabilità che sempre più si assumono, la testimonianza di fede che ci offrono sono doni di Grazia che il Signore semina lungo la nostra strada e che noi come Maria dobbiamo custodire nel nostro cuore.
Tra essi addirittura alcuni si danno forme di vita di particolare intensità cristiana offrendoci la profezia della vita fraterna, per rendere possibile la quale si impegnano a vivere totalmente poveri, casti e obbedienti.
Non siamo soli nel pronunciare il nostro “Sì, lo voglio” e la Chiesa non ci lascerà mai soli.
Soprattutto c’è Gesù, il Signore, il sacerdote eterno, garante della perenne effusione dello Spirito che “fa fiorire in noi una parola vera”.
“Vieni, o Spirito Creatore, visita i cuori dei tuoi fedeli.
Riempi di grazia divina le coscienze delle tue creature.
In molti modi ti doni a noi, o dito della mano destra di Dio:
sei la fedele promessa del Padre, per te fiorisce l’umana parola”.
In questa cattedrale oggi fioriscano le nostre parole umane capaci di essere nuove, forti e sincere. Come tutte le parole di Gesù.
+ Claudio, vescovo
basilica Cattedrale
Giovedì Santo , 13 aprile 2017