MESSA CRISMALE
18 aprile 2019, Basilica Cattedrale, Padova
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Omelia
La vita continua a essere raggiunta dalla Grazia giorno dopo giorno, anno dopo anno. Si tratta della vita umana: la mia vita, il mio volto, la mia storia si inseriscono in questo flusso di Grazia che da Dio si effonde su ogni creatura.
La Chiesa è una porta di accesso della Grazia nella vita e nella storia degli uomini.
Tramite la Chiesa, il Signore vuole raggiungere e avvicinare ogni persona, il povero e l’ammalato, il profugo e il giovane, l’immigrato e l’anziano, e svelare il suo amore onnipotente e infinito.
La nostra Chiesa però, è una porta di accesso un po’ consumata dal tempo, forse della disattenzione, forse dalla ripetitività. È come un vaso crepato con il quale far giungere acqua da un punto a un altro: ne perde tanta.
Noi, la Chiesa, non siamo i destinatari della Grazia, perlomeno non ne siamo i destinatari esclusivi. Noi cristiani siamo i servi, siamo i vasi crepati, onorati di essere stati chiamati ma consapevoli della nostra inadeguatezza. O forse, addirittura, ingenuamente contenti, ricordando quello che dice Paolo: «Quando sono debole è allora che sono forte. Ti basta la mia Grazia» (2Cor 12,10.9).
Ed ecco che il Signore Gesù, che vuole far giungere a tutti gli uomini il suo amore, si fa carico continuamente anche di aggiustare la porta che ha voluto come spazio privilegiato di accesso, dalla quale vuole transitare. E si fa carico di tenere insieme il vaso screpolato.
Appunto per questo, oggi ci convoca in questa solenne e suggestiva assemblea per parlarci, per consolidarci, per unirci, per arricchirci: per dirci che non ci butta via, né se siamo vecchi, né se siamo peccatori. Fa per noi proprio quello che ci ha insegnato a compiere per gli altri suoi discepoli, quelli che popolano le nostre comunità. Prende dell’olio per sostenere e difendere il suo popolo e per rinvigorirlo con la sua forza divina. Ci vuole difendere dagli avversari e dall’avversario, vuole dare vigore alla nostra umanità e dare potenza, la potenza della fede, alla sua Chiesa. Acclameremo quest’olio: “olio forte, olio santo”.
Prende pane e vino come farmaci che ci donano vita immortale, cibo per i viandanti e i pellegrini provati dalla durezza della strada. Canteremo questo pane vivo, pane nuovo.
Prende anche povere parole, le nostre, povere immagini, quelle della nostra vita, usa il nostro linguaggio per parlarci del suo amore, della sua grandezza. Si serve anche delle mani dei nostri fratelli e sorelle, del loro cuore, del loro volto, perché non ci sentiamo soli: ma è sempre lui che fa da pontefice e ci rende degni e capaci di trasportare la sua Grazia.
Perché la nostra Chiesa, con i suoi poveri e ammalati, con i suoi servizi e ministeri e carismi, possa portare a tutti la Grazia di Dio, noi, il vescovo, i presbiteri, i diaconi, uomini e donne di vita consacrata, siamo stati interpellati e chiamati. Abbiamo dato a Dio una bella risposta, abbiamo detto: «Eccomi Signore, manda me» (Is 6,8). Ci siamo messi a disposizione per servire la missione consegnata da Lui alla Chiesa, per portare l’annuncio del suo amore a tutti.
Per quasi tutti noi è risuonato, proprio in questa chiesa, il nostro “Sì, lo voglio” in continuità con una moltitudine di uomini e donne che hanno accolto come Maria la chiamata del Signore. Ognuno ha modulato, secondo le proprie caratteristiche, quegli atteggiamenti mariani che la nostra tradizione ha educato nel nostro cuore, e ciascuno, a modo suo, ha detto: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Sono nati così senso e orientamento che hanno segnato tutta la nostra vita. Dopo “qualche anno” o dopo “tanti anni”, il nostro pastore Gesù ci passa ancora in rassegna con amore, per confermarci e per incoraggiarci. Ripeto, è Lui il Signore, il Risorto che ci raggiunge e ci dona Grazia su Grazia. Anche oggi, con assoluta fedeltà alle sue promesse.
Quando abbiamo consegnato a Dio e alla Chiesa la nostra vita, dopo anni di preparazione e di discernimento, la nostra disponibilità personale è stata tanto generosa. Abbiamo consegnato a Dio tutta la vita! Eravamo liberi, consapevoli, eravamo contenti e disponibili a tutto per il Signore e per la sua missione. Abbiamo rinunciato a coltivare interessi umani, interessi leciti ma ai quali abbiamo rinunciato per amore e per obbedienza al Signore, fiduciosi di una perla più preziosa che ci affascinava e ci attraeva. Abbiamo rinunciato a lavorare per noi stessi, per i nostri interessi, tutto abbiamo messo a disposizione del ministero che ci è stato affidato: le nostre abilità di ingegno, di arte, di tecnica, tutti doni di Dio, li abbiamo riconsegnati a Lui e lo abbiamo fatto per amore. Ricordiamo. Ricordiamo soprattutto l’amore che ci muoveva, o più correttamente, l’amore che ci attraeva. È questo l’esempio che abbiamo ricevuto dal Signore Gesù, il quale non aveva nulla, nemmeno per posare il capo, perché tutto aveva messo a disposizione del Padre suo e del suo disegno di salvezza.
L’esempio di Gesù, capo e maestro, è per noi davvero fondamentale, soprattutto ricordando le sue parole: «Come io ho amato voi, amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Sappiamo che l’avverbio “come” significa anche “con la forza con cui” vi ho amato, amatevi gli uni gli altri.
Può darsi che, con il trascorrere del tempo, abbiamo ripreso a poco a poco, senza averlo scelto, quegli interessi umani a cui avevamo rinunciato per essere liberi di lavorare, in comunione con la Chiesa, per la missione di Gesù. Può darsi che ci siamo riappropriati di cose del mondo: di scienza umana, di abitudini, di ruoli sociali, di affetti, forse anche di qualche soldo in più, magari per avere sicurezze in vista della vecchiaia o per non essere di peso per gli altri. Tra gli interessi umani c’è anche il nostro orgoglio ferito, riconoscibile se consideriamo i nostri sentimenti e soprattutto i nostri risentimenti.
Ecco, ricordiamo quest’oggi l’amore della nostra giovinezza e guardiamo a Gesù che ci accoglie e che ci passa in rassegna e ci rinnova con la sua potenza e la sua fiducia.
Il Signore, anche oggi, ci chiama a confermare la nostra donazione: con Lui e con la sua forza, per Lui e per portare la sua missione di Grazia.
Di questo, ancora oggi il mondo, cioè i nostri amici e fratelli e sorelle, hanno bisogno, forse più di un tempo. Mai come oggi, la missione che il Signore ha affidato a noi e alla sua Chiesa è stata più urgente. Alla fin fine, per noi la domanda che la liturgia odierna ci pone è sempre quella: «Simone, mi ami?» (Gv 21,16).
La nostra storia non può separarsi da questa domanda. Il Signore Gesù ci ha scelti e ci ha chiamati per un servizio. Lui chiama tutti indistintamente, anzi privilegiando peccatori e poveri, manda noi a dispensare il suo amore. Ha ancora bisogno di un vaso di creta, anche se screpolato.
La spaccatura o fessura più pericolosa è quella della tristezza: ne sono sintomi la stanchezza, la rassegnazione, la rinuncia, il pressappochismo. Non soccombere alla tristezza, caro fratello e amico presbitero! Non soccombete alla tristezza cari diaconi, carissimi uomini e donne di vita consacrata, cari e amati cristiani, caro popolo santo di Dio!
Nel nome del Signore Gesù, il testimone fedele, il primogenito dei morti al quale abbiamo creduto fin dalla nostra giovinezza e al quale abbiamo affidato la nostra vita, nel nome del Signore Gesù, il sovrano dei re della terra, ravviva l’entusiasmo della tua vita, l’amore iniziale.
E tu, Signore Gesù, fa sentire ancora la tua voce al nostro cuore. Abbiamo bisogno di olio, di pane e vino e di parole di letizia. Le tue Signore.
Oggi più che mai, la porta della Chiesa, consumata dal tempo, necessita di uomini e donne che sappiano cantare l’Exultet perché il mondo, il nostro mondo, possa trovare consolazione.
Donaci Signore la gioia della nostra vocazione! Questa Chiesa screpolata sia inondata di gioia pasquale.
Cari catecumeni, anche voi siete chiamati a far parte di questa stirpe eletta dal Signore per annunciare a tutti gli uomini le meraviglie del suo amore. Vi aspettiamo nelle nostre comunità come linfa nuova, come dono del Signore risorto per la vitalità e la missione delle nostre comunità.
Caro vescovo Antonio, caro vescovo Elio, e carissimi presbiteri e diaconi un po’ più avanti negli anni: vi ringraziamo per la testimonianza che ancora date alla nostra Chiesa e per il servizio con il quale ci sostenete. Abbiamo ancora bisogno di voi: forse più che mai adesso traspare la dedizione totale al Signore, quell’affidarsi a Lui con tutto il cuore che è il vero lievito di ogni vita pastorale. Guardando a voi, più anziani e “trovati fedeli” ci sentiremo tutti più incoraggiati.
Fa’ o Signore che, rinnovati da questi misteri, noi tutti insieme ne diffondiamo nel mondo il profumo.
+ Claudio Cipolla