Mercoledì 4 ottobre 2023 – Festa di San Francesco patrono d’Italia
Incontro con i sindaci del territorio diocesano
Intervento
Sono felice di incontrarvi quest’anno nella festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, che ha visto stamane la felice coincidenza della pubblicazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum di papa Francesco, che ci richiama tutti a una maggiore responsabilità verso il Creato.
In quest’occasione, consapevole della fatica del vostro compito di responsabilità e di guida, desidero proporvi una riflessione sul tema dell’esercizio dell’autorità, che in parte ci accomuna, specie nel senso del servizio al bene comune. Molti di voi, inoltre sono sostenuti nel loro compito anche dall’esperienza di fede. E a tutti voi va il mio sostegno e gratitudine.
Il termine autorità etimologicamente (dal latino augeo, augere) ci riporta all’immagine di accrescere, di far maturare, collegando quindi l’autorità all’impegno del servire la maturazione e la crescita.
Nessuno di noi ha nostalgia della società del passato: viviamo in un tempo in cui, almeno in Occidente e nei nostri contesti sociali e civili, è maturata l’attenzione alla persona, al singolo come soggetto di diritti e di doveri. La persona è riconosciuta nella sua dignità, nella sua libertà, nella sua autonomia, ed è favorita nei percorsi di crescita e di sviluppo.
Per certi versi è un tempo benedetto, che provoca però le forme di esercizio dell’autorità, di cui, in qualche modo ne siamo tutti “esperti”, proprio per il servizio che ci è stato assegnato o il compito che abbiamo assunto. Anch’io come vescovo esercito un’autorità in un contesto culturale che ha maturato il valore e l’importanza del singolo soggetto, della persona e in ragione di questo non utilizzo l’“obbedienza” come metodo per assegnare un incarico. Anzi, spesso mi sono trovato nella condizione di sentirmi obbediente nel constatare situazioni e condizioni e adeguare di conseguenza le richieste.
Questa situazione culturale – però – ci porta a correre il rischio che la libertà diventi arbitrio e che l’autonomia della persona diventi autosufficienza, individualismo e liberalismo. In questo caso ci si incammina verso forme di idolatria che non accrescono la libertà ma rendono schiavi di se stessi.
Anche oggi, forse più di altri tempi, l’autorità è difficile da esercitare, tanto da ricorrere a regolamentazioni sempre più precise e stringenti.
Ma se il diritto può difendere dall’arbitrio e dagli abusi di potere, l’eccessiva burocratizzazione può portare l’autorità a cadere nello scoraggiamento e nel disincanto, a pensare che gli ideali che hanno portato ad assumere un servizio di autorità siano impossibili. E si modificano le relazioni, le amicizia, il confronto e il sostegno dei propri pari…
Di fronte alle resistenze di alcune persone o comunità, che sono sempre state il tuo contesto relazionale, di fronte a certe questioni che sembrano irrisolvibili (perché decidere è scegliere e quindi schierarsi), può sorgere la tentazione di lasciar perdere e di considerare inutile ogni sforzo per migliorare la situazione. Si profila, allora, il pericolo di diventare gestori della routine, rassegnati alla mediocrità, inibiti a intervenire, privi del coraggio di additare le mete, correndo il rischio di smarrire l’amore che è all’origine del nostro impegno e il desiderio di testimoniarlo e mantenerlo.
Non è da escludere che in taluni ambienti prevalgano problemi opposti, determinati da una visione dei rapporti sbilanciata sul versante della collettività e dell’eccessiva uniformità, con il rischio di mortificare la crescita e la responsabilità dei singoli. È un equilibrio non facile quello tra soggetto e comunità.
Mi sento allora di sottolineare tre fini dell’esercizio dell’autorità, comprensibili alla luce del significato etimologico del termine che richiama l’impegno di far crescere, di far maturare. Nel vostro caso, come amministratori pubblici, si tratta di far maturare e crescere le vostre comunità:
- che non possono prescindere dalle singole persone;
- con le quali dobbiamo costruire comunità fraterne, rendendo possibile la convivenza;
- per realizzare e costruire il bene comune, sia quello che riguarda il territorio di riferimento sia quello che riguarda il nostro paese (e san Francesco patrono d’Italia ce lo rammenta) e il mondo intero, come ci sollecita l’esortazione apostolica Laudate Deum.
L’esercizio dell’autorità chiede anche uno “stile” e alcune attenzioni.
- Il primo servizio di ogni autorità è l’ascolto. Il servizio dell’ascolto richiede tempo, energie, pazienza. Il primo compito non è saper parlare ma saper ascoltare. Ascoltare non solo chi ci conferma, ma anche le critiche e chi si contrappone. Perché nessuno ha la verità in tasca, ma siamo tutti alla ricerca della verità.
Ascoltare è sentire il cuore degli altri, è soffrire, compatire.
Ascoltare passa dall’ascolto delle singole storie (in particolare stando a contatto con le povertà e le sofferenze) e passa dal quotidiano. Ogni giorno ci presenta una sfida, un’occasione, un incontro, un conflitto. Chi ha autorità e si mette a disposizione per rendere possibile la crescita e il miglioramento è chiamato a prendersi dei tempi di riflessione personale e di gruppo per imparare ogni giorno dalle situazioni che incontra, da ciò che prova e ascolta, dai propri sbagli ed errori. Autorità non è solo amministrare, ma è fare politica, costruire la città, intuire il cammino della città verso il futuro.
- È stile di chi serve la città riconoscere che il compito di essere guida non è facile: non è facile far crescere verso un’esperienza umana e di relazioni, mantenendo l’equilibrio tra interessi diversi, soprattutto in contesti conflittuali e competitivi come quelli attuali.
- In questo clima di disorientamento e disillusione è essenziale la presenza di persone che si mettono a servizio della comunità, si assumono grandi responsabilità, anche a fronte di tante critiche. Educare alla partecipazione alla vita della città è educare alla carità politica. Da parte nostra come Chiesa da decenni proponiamo dei percorsi di formazione sociopolitica per sostenere quanti desiderano impegnarsi per il bene comune.
- Per essere guida l’autorità è chiamata a essere anche “un’autorità spirituale”. Essa sa di essere chiamata a servire un ideale che la supera immensamente, un ideale al quale è possibile avvicinarsi soltanto in un clima di umile ricerca. Il nostro presidente Sergio Mattarella è esempio di vera e grande autorità proprio per la sua levatura interiore e spirituale. Giorgio la Pira disse: «Io non sono un “sindaco”; non ho mai voluto essere né sindaco, né deputato, né sottosegretario, né ministro. La mia vocazione è una sola, strutturale direi: pur con tutte le deficienze e le indegnità che si vuole, io sono, per la grazia del Signore, un testimone dell’Evangelo… mi sarete testimoni (eritis mihi testes). La mia vocazione, la sola, è tutta qui!».
E ancora Mons. Giovanni Nervo sottolineava: «La fede è in fondo la sicurezza che Dio c’è, che è amore, che ci ama, ed è anche il nostro sì all’amore di Dio con un immediato impegno di amare tutti gli uomini perché sono nostri fratelli». L’autorità di un sindaco nasce quindi non solo dal consenso elettorale ma anche dalla profondità della sua spiritualità, della sua tensione all’ideale.
- L’autorità è chiamata a promuovere “la dignità” della persona, prestando attenzione a ogni membro della comunità e al suo cammino di crescita, in particolare delle persone più fragili e vulnerabili. La carità è necessaria per completare la giustizia. Sempre La Pira ci ricorda: «L’autorità appare ai miei occhi solo come tutrice dell’oppresso contro il potente». Esoprattutto offrendo una luce di verità. Non tutto è dignitoso per una persona: «Considerate la vostra semenza: Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
- Infondere coraggio e speranza nelle difficoltà. Di fronte ad alcune situazioni difficili, chi guida la comunità custodisce la memoria degli ideali, delle mete, dei sogni di una città; ricorda il perenne valore del motivo per cui ci s’impegna e i destinatari di questo impegno. A questo proposito sono preziose le parole di Romano Guardini: «educare significa che io do a quest’uomo coraggio verso se stesso… Che lo aiuto a conquistare la libertà sua propria». Ciò vale anche per una comunità.
- La consapevolezza dei nostri limiti non ci esonera da questo impegno. «È stato da qualche parte detto – ci dice ancora Guardini – che gli educatori sono per lo più uomini che non riescono a vincere se stessi e perciò si proiettano addosso agli altri. Che i giudizi più sicuri e le richieste più esigenti provengano spesso da uomini intimamente perplessi e confusi, è comunque appurato. Sta proprio qui il punto decisivo. E proprio il fatto che io lotti per migliorarmi ciò che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro».
- L’autorità, infine, è chiamata a tener viva la collaborazione con le altre amministrazioni e con gli altri soggetti-attori di un territorio per affrontare insieme le grandi sfide attuali, chiamando continuamente a raccolta tutti. Solo insieme, ognuno facendo la propria parte, si esce dal senso d’isolamento e di impotenza e si risolvono i problemi al di là delle ideologie. Alleanze, sinergie, condivisioni quando non sono mosse solo da calcoli economici – che troppo spesso sembrano prevalere anche nelle attività politiche – ma dalla ricerca del bene comune, sono la strada da percorrere. L’isolamento, l’individualismo illudono e indeboliscono il cammino delle comunità. Illudono di andare velocemente ma in realtà si fermano presto, fin troppo presto!
L’esortazione apostolica che papa Francesco ha pubblicato oggi, conclude con queste parole: «“Lodate Dio” è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso».
Anche per questo l’incontro di oggi è un atto di incoraggiamento che il vescovo vuole presentarvi nel difficile e bellissimo compito che vi è stato affidato nel quale dovete stare, come mandati, e per chi si ritrova nel Vangelo, da umili cristiani.
+ Claudio Cipolla, vescovo