Festa di Santa Giustina
Lunedì 7 ottobre 2024
Padova, basilica di Santa Giustina
omelia
Il 7 ottobre è il primo anniversario dell’incursione terroristica di Hamas e anche in questa celebrazione ci uniamo alla preghiera del mondo intero per la pace, così come ci invita il santo Padre.
“Se Dio è per noi chi sarà contro di noi”.
Per noi: è dalla nostra parte; vive avendo come oggetto del suo amore noi; ci vuole bene.
Questa è la scoperta dei martiri e dei santi, e di tutti i credenti. Questa è la fede che spiega la nostra presenza questa sera per celebrare la memoria di Santa Giustina, la prima donna martire, della nostra Chiesa diocesana.
Alcuni infatti – e tra questi Santa Giustina – hanno testimoniato la certezza dell’amore del Signore per noi fino alla morte, e qualcuno fino alla morte violenta. Dopo Santa Giustina molti cristiani e cristiane hanno inciso, con la propria vita, il proprio impegno, la propria fede, in questo nostro territorio segni di speranza, di amore, di giustizia.
(Questo avviene anche oggi: nel mondo a causa della propria fede in Gesù sono state uccise nel 2023 20 persone, mentre dal 1980 sono 1283.)
Anche noi, uomini e donne del 2024, siamo figlie e figli di Giustina, di una martire. Nasciamo dall’amore di Gesù accolto, creduto, annunciato: “Dio è per noi”!
L’oggetto dell’amore non è un “io” ma un “noi”. Un noi inclusivo di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo. Chi, come Giustina, guardando a Gesù accoglie questa relazione di amore – che chiamiamo fede – la porta a tutti, ne parla e ne dà testimonianza: in Gesù percepisce una pienezza di amore, una perfezione così piena dell’amore da restarne affascinato e attratto, fino a legarsi a lui come un tralcio alla vite, come un agnello al suo pastore, come un figlio o una figlia al padre e alla madre, come un uomo alla propria compagna, uno sposo alla sposa.
San Giovanni definisce Dio con il nome di Amore: Dio è amore, afferma!
È un amore fedele, gratuito. È un amore eterno: “per sempre”, diciamo noi.
È amore che si fa vita: tempo trascorso insieme, lavoro e sacrificio per l’altro, si fa amicizia, solidarietà, perdono. È amore che genera vite nuove.
Nulla può separarci dall’amore di Dio, dall’amore di cui ci ha parlato Gesù: né morte, né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
La Maddalena che incontra il Risorto al sepolcro (Gv 20,11-18) ci racconta un amore che è andato oltre la morte: lei è passata dalla disperazione, dalla sensazione che tutto fosse finito, alla gioia piena dell’annuncio di un tempo nuovo carico di pace e di speranza “per sempre”. Lei, figura del discepolo e della Chiesa, si è fidata del Maestro che l’ha invitata a non tenere per sé la bellezza dell’incontro con Lui e la certezza dell’amore del Padre.
L’amore diventa generativo se Cristo entra nella nostra storia: è un’esplosione che ci cambia e cambia il mondo perché è l’umano che incontra il divino.
C’è una circostanza che ci interpella e diventa occasione per continuare l’annuncio dell’amore di Dio e la testimonianza della fede di un amore che va oltre il tempo e oltre la morte; di quell’amore che nel matrimonio esprime e rende visibile il legame tra Gesù vero sposo e la Chiesa sua sposa. È la possibilità, per le persone vedove, di vivere loro stesse la chiamata alla Resurrezione di non fermarsi al sepolcro ma di andare oltre. L’affettività va vissuta qui e ora perché anche Cristo è qui e ora. Si tratta di stare con Lui in questa diversa situazione che continua ad essere storia sacra, perché Lui possa continuare a guidare la nostra capacità di amare. Si tratta di affidarsi a Dio e di fidarsi di Dio come a suo tempo si è fatto con l’amata o l’amato.
Per questo ho desiderato istituire nella nostra Chiesa di Padova l’antico “Ordo Viduarum”, in cui le persone vedove si consacravano, offrendo all’amore tutto di se stessi. E lo annunciamo questa sera.
C’è un amore “per sempre” che si fa fatica a vivere oggi; sembra troppo promettersi un amore “per tutti i giorni della nostra vita”. È invece meraviglioso poter mostrare che quel “per sempre” è possibile. È una testimonianza di cui abbiamo bisogno anche noi che abbiamo scelto il celibato e la verginità per il Regno. La morte del coniuge, un tempo forse nemmeno immaginata, spinge a trasformare l’amore in nuova vita. Riscoprendosi ancora sposo o sposa – sempre sposo o sposa – si diventa icona di un amore che è sempre vivo, capace di superare anche i confini della morte. Ho incontrato tante persone che nella quotidianità hanno dato concretezza alla continuità del matrimonio rendendo presente il proprio compagno o la propria compagna nella loro vita e questo, soprattutto nel rapporto con i figli, porta sicuramente serenità. Quante volte ho ascoltato racconti di vedovi che sentono la presenza dell’amata o dell’amato quasi più di quando era in vita. Da lei o da lui si sentono ancora accompagnati e protetti e non si tratta di inventare situazioni irreali o vivere nell’illusione. Vivere la presenza è riattualizzare quei progetti e quei sogni di cui si è diventati eredi. È come fare il bene per conto di…, a nome di… in forza di una comunione che, per grazia, può essere percepita ancora viva oggi.
Con questo legame nel cuore si può dare un volto all’attesa di un nuovo incontro futuro, quando il Signore vorrà, con il proprio sposo o la propria sposa. La perdita del coniuge non fa perdere la fede nel matrimonio e nella sua forza sacramentale. Soprattutto, chi ha avuto il dono della maternità o della paternità potrà continuare a testimoniare la presenza viva del matrimonio anche senza la presenza fisica della persona che aveva tanto amato. La nostra affettività diventa come una forza mediatrice tra il cielo e la terra, proprio per gli affetti che sono custoditi in cielo. L’amore esiste e resiste se punta sempre verso l’altro e verso l’Alto: l’amore della persona vedova resiste se continua a farsi dono per poter dire nella famiglia, nella Chiesa e nel mondo che esiste un oltre che è certezza di un incontro, che è vita per sempre. Gli affetti racchiudono in sé tutto il nostro modo di porci verso l’altro e testimoniano che «le grandi acque non possono spegnere l’amore» (Ct 8,7): l’amore vince sempre. Non si tratta di insegnare niente a nessuno ma se in Dio – che è per noi – abbiamo trovato uno sguardo di fiducia nella vita, riusciremo a considerarla ancora un dono. Per questo si aprono spazi di ascolto e di consolazione che possiamo offrire ad altri che vivono esperienze di sofferenza: chi ha sofferto tanto sa parlare al cuore e con il cuore.
Aver perso la persona amata non significa aver perso la capacità di amare: ed amare è vivere! La nostra ricerca vocazionale si trasforma per trovare forme nuove, espressioni rinnovate di questo amore.
Ci può essere chi sta considerando la possibilità di una nuova chiamata alla vita matrimoniale; se questo è ciò che abita il cuore, se questo è ciò che il progetto d’amore di Dio chiede, è importante orientarsi serenamente a dire “sì”: una nuova chiamata al matrimonio, infatti, non nega, né ri-nnega l’amore vissuto in passato ma dà continuità alla testimonianza d’amore nella Chiesa e per la Chiesa. Oggi c’è tanto bisogno di questa testimonianza!
Altri potranno sentire una chiamata a vivere la propria vedovanza come esclusiva espressione d’amore nei confronti dei figli: non si tratta di paura o di fuga dal mondo dei legami e degli affetti, ma di una possibile chiamata di Dio da discernere. C’è infatti un mondo che attende gesti e segni di gratuità; c’è una Chiesa che ha bisogno di maternità e di paternità per diventare tutta accogliente e affettuosa.
Infine, alcuni o alcune si potranno sentire chiamati o chiamate nella vedovanza ad un dono particolare di sé, una vocazione per mettersi a servizio ed annunciare che la comunione con Dio dà pienezza alla vita. Così la vedovanza diventa annuncio della resurrezione. Rileggere la propria vedovanza come spazio fecondo di trasformazione della sofferenza rende evidente l’incontro con Gesù vero sposo. Si tratta di una nuova chiamata alla quale offrire attenzione e ascolto con sereno coraggio.
L’“Ordo viduarum” è una delle possibilità per dare alla propria vita un nuovo spazio di amore insieme con la Chiesa.
Significa continuare ad amare non più solo il proprio coniuge, ma la Chiesa intera, magari ponendosi a servizio della comunità, o in qualche settore dove sia possibile testimoniare la vocazione e la disponibilità all’amore. Questo il senso della possibilità di consacrarsi nell’Ordo viduarum.
Ci sentiamo tutti naufraghi davanti ad una perdita: è giusto piangere, ricordare, avere il desiderio di rimanere un po’ soli, darci il tempo di riconoscerci di nuovo in un mondo che è sempre lo stesso, ma che appare ai nostri occhi inevitabilmente diverso. In realtà, anche se non ce ne accorgiamo, non siamo soli: il Dio della vita e della speranza è con noi e per noi: Egli ci chiede di non smettere di stare nel suo amore e di testimoniarlo a quanti sono con noi sulla barca della vita.
Santa Giustina guardando a Gesù accoglie il Vangelo, la lieta notizia che Dio, il Padre, ci vuole bene e con la sua morte violenta lo annuncia ancora oggi.
Continuiamo sulla sua strada!
+ Claudio Cipolla