FESTA DI SAN LUCA EVANGELISTA
Mercoledì 18 ottobre 2023
Padova, basilica di Santa Giustina
Omelia
Rivolgo un particolare invito ai medici ai catechisti e agli iconografi della nostra diocesi.
Vivo questo incontro come atto comunitario di lode al Signore perché in Luca, con il vangelo e gli Atti degli Apostoli, ci ha consegnato racconti e testimonianze di un cammino di misericordia che ci coinvolge ancora oggi. Come cristiani ci coinvolge tutti ma soprattutto i medici si sentono interpellati perché svolgono la professione stessa di Luca, definito da Paolo medico; coinvolge i catechisti perché Luca ha parlato di Gesù raccontando la corsa del Vangelo e l’esperienza delle prime comunità; gli iconografi perché a Luca è attribuita dalla tradizione la scrittura della prima Icona della vergine Maria.
Del Vangelo che abbiamo ascoltato mi soffermo su una sottolineatura di san Gregorio Magno che evidenzia come «Il nostro Signore e salvatore, mandò i suoi discepoli a due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Il Signore infatti segue i suoi predicatori». Manda i discepoli perché anticipino la sua venuta.
Anche l’immagine che “la messe è molta” richiama non soltanto la maturazione e il tempo gioioso del raccolto ma anche la fatica e il tanto lavoro che c’è da compiere nel campo per arricchirsi della maturazione dei frutti. Penso all’impegno affidato alla Chiesa di portare gioia e pace, vicinanza e fraternità, umanità.
Tra tutti, in questi tempi, il campo della cura della vita, mi sembra particolarmente in attesa di operai, come se «ogni città e luogo dove stava per recarsi» e dove Gesù manda a due a due i discepoli, potesse essere proprio la città: la città del pensiero, dei costumi, delle mentalità, delle culture.
La globalizzazione e l’interconnessione tra le varie realtà economiche e sociali mettono in evidenza ancora molte differenze tra i vari paesi. Quindi andare nelle città dove Gesù sta per recarsi può indicare uno spazio e un tempo di confronto e di dialogo tra il Vangelo e il pensiero degli uomini e delle donne di oggi, relativo al bene a e al male, al mondo dei valori e dei disvalori della persona e dell’intera società.
Gli spazi etici vanno dal concepimento della vita al cosiddetto fine-vita. Anche in questi spazi il Signore manda per portare misericordia, fratellanza, soccorso, reciproco aiuto.
Il capitolo 10 di Luca termina con la parabola del buon samaritano. Il samaritano racconta di uno stile del dialogo e della cura.
Nel mondo della scienza e della ricerca medica, i momenti di crisi sono molti. Sono molte le situazione in cui ci si chiede che cosa è bene e che cosa è male, per questa persona, in questa sua condizione concreta. È di fronte a un volto preciso, a una storia precisa, a una concreta persona che ci sentiamo interpellati e provocati. Le ideologie spesso disumanizzano il nostro sguardo.
Dal concepimento della vita fino al suo spegnersi siamo mandati avanti, davanti a lui, a preparare il suo arrivo; soprattutto il tempo del concepimento e quello della conclusione della vita sono oggi particolarmente al centro delle nostre preoccupazioni e attenzioni. Molte delle fatiche dei professionisti sono date non solo dal troppo lavoro ma soprattutto dal coinvolgimento in situazioni emotivamente pesanti.
Le leggi nazionali o regionali, infatti, diventano riferimento prioritario e spesso unico per stabilire che cosa è bene e che cosa è male, sostituendosi purtroppo alla fatica di mettere in gioco se stessi: la propria libertà e responsabilità perché sia rispettata la dignità umana; il rischio è di sostituire con qualcosa di esterno la fatica del confronto con la coscienza.
Ma è proprio alla coscienza, in quel sacrario o tempio santo, che vengono mandati i discepoli a preparare la sua venuta.
Ma tra i due estremi temporali, dall’interruzione di gravidanza all’eutanasia (termini meno impattanti rispetto a ciò che indicano) ci sono tanti altri spazi e momenti di sofferenza e di dolore che provocano il grido di aiuto, l’invocazione di pietà rivolto alla società e all’uomo.
Il Samaritano si prende cura del malcapitato che nemmeno aveva invocato soccorso perché rimasto senza la forza di domandare. Pensiamo ai nostri ammalati inguaribili, alle migliaia di vittime della violenza e della guerra, alle povertà per siccità e per fame, ai disoccupati, ai soli… la lista potrebbe essere lunga.
Il prendersi cura però non è soltanto degli specialisti, né dei tecnici o dei politici, nemmeno della Chiesa o dei cristiani; è invece tratto della cultura, del nostro modo di sentire e di pensare.
Il prendersi cura non significa guarigione né soluzione di tutti i problemi sociali ma indica piuttosto umanità, prossimità, sensibilità, vicinanza: indica la qualità della cultura e la qualità dell’uomo.
In questo spazio, in questo campo dove la messe è molta, in questa città a cui siamo inviati davanti a Gesù i catechisti, alcuni dei quali sono qui presenti, sono incaricati dalle famiglie e dalle loro comunità perché educhino ai sentimenti di Gesù.
Il cristiano è esperto di umanità come diceva Paolo VI parlando della Chiesa la quale «In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, desidera aiutarli a raggiungere la loro piena fioritura, e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità».
Gesù manda i suoi discepoli presso i campi della vita, nelle città e nei luoghi dove sta per recarsi come samaritano, come fratello, soccorritore.
Potremmo dire come medico, come catechista… o forse è sufficiente dire come cristiano.
+ Claudio, vescovo