Beati i poveri… l’annuncio di speranza per i marginali – 2019

Intervento al Convegno per il mondo della scuola
07-09-2019

Le marginalità al centro. Tra sfide e opportunità

Auditorium OPSA – Sarmeola di Rubano 7 settembre 2019

INTRODUZIONE

Ringrazio per aver scelto questo tema per il Convegno che apre il nuovo Anno scolastico: scelta non scontata e anche rischiosa, come è stato detto nel saluto introduttivo; scelta opportuna per il clima culturale e sociale che stiamo vivendo in quanto i cristiani stessi, nonostante la profetica e bella testimonianza di Papa Francesco, vivono momenti di confusione e incertezza nel loro rapporto con i marginali e gli emarginati. Ed esprimo vivo compiacimento per le collaborazioni che si sono attivate attorno a questo tema, indice di un’attenzione comune e dell’impegno condiviso nel creare sempre nuove alleanze educative.

Certo, mi rendo conto che a questa mia introduzione, il cui titolo prende spunto dalla parola dirompente del Vangelo contenuta nella prima delle beatitudini, è chiesto molto, forse troppo! Ma sono contento che sia stato chiesto a me, come Vescovo, di provare a comprendere e a dire perché la nostra società e la scuola in primis non possano non riportare al centro chi è ai margini, chi vive situazioni di povertà esistenziale, materiale, culturale. La domanda che sento rivolta a me stamattina è: di fronte alla condizione del povero, a quali risposte il Vangelo di Gesù ci provoca? Quali sono le strade dei cristiani e della Chiesa se vogliono essere testimoni del Vangelo?

  1. Non posso che partire dalla sua Parola, lasciandomi anzitutto stupire dal fatto che Dio abbia scelto per sé la condizione di povero: «da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà» (cfr. 2Cor 8,9). Il Dio cristiano ha scelto di uscire dal suo centro, la divinità, per abitare la marginalità della creatura, l’umanità, e così riportarla al centro della storia che Dio vuole costruire con l’uomo: “Gesù Cristo pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Per realizzare questo progetto, Dio ha scelto un popolo marginale in un pianeta marginale dell’universo e ha scelto personaggi marginali per renderli fautori di riscatto e di libertà: pensiamo ad Abramo, il vecchio, a Mosè, pastore e fuggiasco, a Davide il più piccolo della famiglia, a Tamar, la prostituta, a Rut, la straniera, fino ad arrivare a se stesso nell’incarnazione dentro una famiglia marginale, in una terra marginale. Dio sceglie di abitare la marginalità: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1, 27-28). Questa sua scelta diventa piano di salvezza, metodo per ricentrare tutto: è la proposta di una pedagogia!

Ecco da dove scaturisce l’ardita esclamazione di Gesù “Beati i poveri”, che fa da portale alla paradossale architettura delle beatitudini. Non credo sia questa la sede per tentare un approfondimento esegetico: del resto penso che ai più sia noto il duplice testo delle beatitudini nella versione di Matteo e in quella di Luca. Entrambi gli evangelisti inseriscono le beatitudini in una cornice più ampia e solenne di un discorso, rivolto ai discepoli, che ha valore fondativo per il nuovo Israele: un programma di vita e di missione per Gesù e per i suoi; i Padri della Chiesa fino agli esegeti contemporanei hanno scavato in profondità dentro a queste parole di Gesù, che suonano quasi come un ossimoro: «beati – poveri». Mi sembra che questa sia l’ispirazione di fondo del magistero di Papa Francesco e che da questa convinzione di fondo scaturiscano non solo le sue parole ma anche e soprattutto i suoi gesti, i suoi viaggi, la scelta dei vescovi e dei cardinali, cioè tutta la sua attività pastorale.

  1. Ma chi sono i poveri nella Bibbia? Con questo termine nell’A.T. vengono indicati tutti coloro che sono sotto la diretta tutela divina, lo straniero, l’orfano, la vedova, l’affamato, il senzatetto. Sarebbero innumerevoli le citazioni dai Salmi e dai Profeti. Possiamo sinteticamente affermare che i poveri dell’A.T. non sono semplicemente poveri, ma sono i “poveri di Dio”. Nella beatitudine sia in Luca sia in Matteo il termine greco usato è ptocoi, da cui il nostro “pitocchi”: sono coloro che si trovano in una condizione tale di indigenza da essere messi ai margini, impossibilitati da soli a rialzarsi e liberarsi e pertanto non possono che attendere l’aiuto di un altro e questo altro è Dio stesso e chi è chiamato a proseguirne e testimoniarne l’azione di salvezza, quel Dio che in Gesù promette ai pitocchi non solo la liberazione ma il Regno, cioè di essere al centro della sua attenzione. Da qui discende quella che dal Vaticano II in poi abbiamo chiamato la “scelta preferenziale dei poveri”.
  1. Per comprendere questa espressione, ricorro ad un profeta di casa nostra Don Giovanni Nervo che così scriveva:

«Per “poveri” qui intendiamo tutte le persone, le famiglie, i gruppi che hanno difficoltà a vedere riconosciuti i loro diritti fondamentali e sono esclusi, lasciati o messi ai margini della società dei consumi, del benessere, della partecipazione sociale, o in rischio di esserlo. La scelta preferenziale dei poveri è un’esigenza squisitamente evangelica: è la strada che ci ha insegnato il Signore Gesù con le sue scelte personali, con l’insegnamento, con l’esempio».

E con la sua straordinaria abilità a mettere insieme Vangelo e Costituzione continuava:

«La scelta preferenziale dei poveri non vale solo per chi vuole essere fedele al vangelo, ma è essenziale anche per chi vuole essere fedele alla Costituzione che, in termini laici, così si esprime: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art.2). “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […] (art. 3). Poiché i padri costituenti sapevano che non è vero, aggiunsero il secondo capoverso: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

Ecco dunque spiegato l’aggettivo preferenziale: «Perché sia rispettata la pari dignità sociale di tutti i cittadini, bisogna partire dagli ultimi, bisogna provvedere per primi a loro, bisogna dare più opportunità, più attenzioni, più risorse a chi ha meno».

E rimanda all’altro grande gigante dell’educazione Don Lorenzo Milani che sintetizza così questa esigenza: «Una suddivisione uguale di risorse fra eguali è giustizia, fra disuguali è somma ingiustizia. A chi ha di meno bisogna dare di più». Dice anche: Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.

Mons. Nervo ci mette però in guardia da un equivoco: sposare la “scelta preferenziale dei poveri” non significa che si amano alcuni di più e altri di meno, non è una questione di ampiezza del mio amore ma di bisogno dell’altro: «la mamma concentra attenzioni sul figlio malato non perché ama meno gli altri, ma perché lui ha più bisogno». Nessuno è escluso dall’amore e dall’attenzione di Dio, quindi anche della Chiesa, chiamata ad essere “famiglia di Dio”: «La logica della famiglia è l’amore e nella logica dell’amore le attenzioni maggiori vanno ai membri più deboli: il bambino piccolo, la sorella che ha un esame pesante da fare, la mamma che è ricoverata in ospedale. I più deboli hanno diritto a maggiori attenzioni perché ne hanno più bisogno».

Dietro a queste semplici immagini traspare tutta la sapienza del magistero sociale della Chiesa, come anche l’esperienza di tanti santi della carità che con le loro scelte controcorrente hanno scritto pagine di storia non solo della Chiesa ma del nostro Paese e della nostra Città, anche nell’ambito dell’educazione.

Credo si riesca a cogliere immediatamente quali ricadute abbiano queste considerazioni proprio sul piano educativo, anche se, troppo spesso si tenta di depotenziarne la carica rivoluzionaria (come rivoluzionario è lo spirito delle beatitudini), finendo per ridurle ad una etichetta come: “piano per l’inclusione”. Riportare al centro chi abita la marginalità, nella scuola come nella società, (questa è la scelta preferenziale) – è ancora Nervo a ricordarcelo – «prima di una lista di cose da fare è una scelta interiore, personale, che nasce da una esigenza intrinseca al vangelo della carità. Gli atteggiamenti interiori e le parole che li esprimono devono tradursi in comportamenti e scelte concrete, perché senza i fatti, la scelta preferenziale per i poveri rischia di rimanere retorica».

  1. Dunque, l’attenzione agli ultimi, ai marginali, è una delle nostre ricchezza. Non è un contributo secondario, facoltativo ma una ricchezza che ha valore e spessore culturale e che il cristianesimo offre al mondo perché resti umano. È parte dell’identità del cristiano e riguarda non soltanto la vita privata e personale ma la prospettiva di un ordine nuovo della società. Rallenta il passo del “progresso ad ogni costo”, pone regole diverse, sceglie priorità nuove per il cammino. La presenza e l’attenzione a chi vive la marginalità costringe a pensarci uniti gli uni agli altri, forma una solidarietà nuova e ci costituisce come popolo. Un popolo in cammino, non fermo ma che sa camminare aspettando tutti e rispettando tutti. Il margine ci conserva persone, perché ciascuno di noi è consapevole di abitare qualche margine.

Dopo la beatitudine di Gesù che, in questo contesto, mi piace tradurre così «Coraggio voi che state ai margini, perché vostro è il centro», o anche “Confide, surge, vocat te”, dalle “pietre di scarto”, dagli scarti sale un incessante grido di giustizia verso tutta la società nelle sue varie componenti: è la sete di giustizia per tutti gli uomini e le donne e per tutti i popoli del mondo perché tutti sono uguali davanti a Dio e per tutti sono i beni materiali e spirituali della terra. E’ una vitalità spirituale, un sentimento di carità che si traduce in richiesta di giustizia che i cristiani e la Chiesa amplificano perché è la loro vocazione e la loro missione.

Il progresso di una città o di una nazione non dipende tanto dalla sua capacità di creare eccellenze: sta invece nella sua capacità di non emarginare nessuno. La cura per l’ammalato, per l’anziano, per il bambino, per chi vive la disabilità, insomma per chiunque attraversi condizioni di fragilità e di marginalità dice la vera qualità di una società. Ed oggi abbiamo più strumenti di un tempo per dare qualità umana alle nostre città. Se Questo è un criterio di verifica della nostra azione politica ed amministrativa, della nostra azione educativa e culturale possiamo chiederci: come sta andando il nostro mondo?

Come discepoli di Gesù, insieme ai fratelli di altre religioni e culture che condividono comunque i valori sostanziali del Vangelo, abbiamo il dovere di continuare a offrire al nostro tempo e ai territori che abitiamo questo appello a mettere al centro l’uomo.

Nel Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 la Chiesa italiana, raccogliendo l’appello del Santo Padre espresso nella sua prima enciclica Evangelii Gaudium, si è impegnata a promuovere un “nuovo umanesimo” a partire dal suo fondamento, il Vangelo. Effettivamente il Vangelo di Gesù Cristo, la fede in lui, vero uomo e vero Dio, nell’autorevolezza della sua parola e del suo insegnamento, hanno da sempre fornito un contributo di umanizzazione, di visione della persona, di lettura della storia: i discepoli del vangelo devono essere esperti di umanità – come ebbe a dire Paolo VI – e non hanno esaurito il loro compito oggi.

  1. Il nostro tempo vede in atto il tentativo di una esculturazione dei contenuti del Vangelo: lo denuncia insieme con altri teologi e pensatori il teologo Theobald in un suo recente studio intitolato Urgenze pastorali, indicando con questa parola “esculturazione” da un lato l’estromissione del cristianesimo dalla cultura dominante e, al contempo, l’appropriazione da parte del “secolo” di quanto insegnato dal Vangelo, deprivato però dei suoi significati originari. Sono convinto che questo comporti un impoverimento di umanità per la nostra società e finirà per renderla più facilmente connotata da una tecnologia sempre più sofisticata ma fredda, da una scienza ingegnosa ma capace anche di fare male, da una visione dell’economia fondata su una finanza virtuale, in cui tutto cammina verso la massimizzazione, a prezzo però della felicità e della pace interiore e complessiva della persona umana.

A tentativi di questo tipo abbiamo dovuto assistere anche in quest’ultimo periodo in cui certe prese di posizione in campo sociale, amministrativo e politico non possono non aver creato imbarazzo, ma oserei dire indignazione, in chi si professa cristiano e si sente erede di una tradizione, molto radicata nel Veneto e in Padova, che ha riconosciuto nel rispetto della persona, di ogni persona, e del bene della Comunità i principi guida del proprio agire; principi che alimentati dal Vangelo hanno trovato espressione anche nella nostra Carta costituzionale. La cultura dello scarto che alimenta la globalizzazione dell’indifferenza, più volte richiamate da Francesco, non ci appartengono. Gli inviti alla violenza, l’indifferenza nei confronti degli altri soprattutto nei confronti di chi è in difficoltà, lo spregio per i diritti fondamentali dell’uomo; le chiusure verso i migranti e i profughi, le discriminazioni di culture e religioni diverse dalla nostra; la denigrazione nei confronti di chi si occupa di chi è in difficoltà, anche se sostenuti da consensi popolari o populisti, ottenuti speculando sulle paure e sulle insicurezze che si pensa di vincere costruendo muri e facilitando l’accesso alle armi, tutto questo non può che alimentare la barbarie, la disumanizzazione della società, e non è compatibile con il richiamo allo stile di Gesù e alla pedagogia di Dio.

  1. Gesù di Nazaret infatti ha speso la sua vita per riportare al centro i marginali: gli ammalati, i poveri, i lebbrosi; coloro che erano considerati pietre di scarto. Gesù riabilita e restituisce dignità all’interno della società agli indemoniati, agli adulteri, agli emarginati appunto… in termini di promozione e non di assistenzialismo. L’episodio più emblematico per me resta la guarigione dell’uomo dalla mano inaridita di sabato nella sinagoga di Cafarnao (Mc 3,1-6; Lc 6, 6-11): Gesù lo pone al centro, richiamando su quell’uomo lo sguardo sprezzante dei presenti. Veramente significativo anche l’episodio della guarigione dell’indemoniato di Gerasa che Gesù guarisce e manda dai suoi, dalla sua gente, guarendo in questo modo anche la città dalla sua tentazione di escludere. Quello di Gesù è invece uno sguardo di predilezione, non di pietà, e attraverso la guarigione sa restituire la capacità di stringere relazioni e di lavorare per procurarsi il pane.

Lo stile del Maestro è ciò che deve caratterizzare scelte e azioni del discepolo: è la “differenza cristiana” di cui parla Enzo Bianchi.

Perché le scelte dei cristiani e delle comunità da loro formate si basano, come su una roccia, sulla testimonianza che viene dal Vangelo. È il rapporto con il Vangelo che determina la qualità cristiana della vita; diventa il primo criterio di verifica profondo, serio. Il Vangelo proclama la centralità della persona marginale, dell’uomo e della donna che attendono il sostegno della comunità per poter essere se stessi. Dal Vangelo si eleva per loro un annuncio di speranza e di liberazione.

Quando ha trascurato la sua identità di comunità credente, assoggettata solo al giudizio del Vangelo, la chiesa ha tradito il Vangelo stesso e ha tradito Gesù, non soltanto i poveri. E ha anche abbandonato la sua missione di rendere migliore il mondo. Questi tradimenti della chiesa sono nati quando essa ha smesso di essere “altro” rispetto alla società e alla cultura dominanti. Quando ha assunto come proprio il pensiero di tutti, della maggioranza, o dei potenti o dei primi del mondo rinunciando al suo posto di “sentinella” (a cui costantemente richiamava Giuseppe Dossetti), al suo posto di “guardia” (come dice Hetty Hillesum), quando ha rinunciato al suo mandato profetico come chiede il Concilio Vaticano II e come Papa Francesco ci testimonia.

  1. Dal tempo in cui Gesù si è fatto marginale, povero, piccolo (straordinario il messaggio del Natale!), umiliato e disprezzato, assumendo la nostra condizione umana, anche il concetto di povertà si è modificato, potremmo anzi dire che si è ampliato: la povertà e la marginalità stanno assumendo volti nuovi. Tra questi sempre più consistente è la marginalità sul piano culturale ed educativo. E lo sguardo, il nostro sguardo si allarga: vede la famiglia, vede la città, l’Italia, l’Europa: ogni livello della nostra società ha i suoi margini e le sue emarginazioni. Devono quindi cambiare anche le risposte e gli interventi per debellare le nuove forme di povertà in un mondo così interconnesso e globalizzato.

Siamo chiamati a indossare vestiti nuovi, linguaggi diversi, strategie diverse con il cambiare del tempo, dei luoghi e della comunicazione. Anzi, mi vien da dire che dobbiamo diventare noi stessi stilisti capaci di scegliere stoffe e tagli adatti ai tempi, poeti capaci di creare parole e narrazioni inedite per dialogare con tutti gli altri che come noi vivono l’arte dell’educazione, per permettere ad ogni persona di ritrovare la sua dignità.

Ciò che non dobbiamo cambiare è la scelta di fondo, ispirata al Vangelo: essa potrà assumere volti diversi ma dovrà rimanere coerente con gli insegnamenti di Gesù. Le scelte e le azioni conseguenti alla fedeltà al Vangelo dovranno continuamente evolversi per rispondere ai veri bisogni dell’uomo, in dialogo con le culture che si incontrano. Il restare sempre uguali è una delle possibili forme di tradimento. Questo ci permette di vivere nel mondo dando il nostro contributo con leggerezza, senza pretendere di possedere la verità ma rispettosamente ed umilmente permeando del nostro spirito politica, cultura, scienza, organizzazioni sociali ed educative, cioè la vita. La cultura, intesa come sapienza nel guardare alle cose della vita, come profondità interiore e patrimonio storico di umanità, ha caratterizzato tante iniziative di carità della nostra Chiesa locale: le cucine economiche popolari con i loro migliaia (15.000) pasti mensili e i loro cento anni di vita, questa Casa della Provvidenza che ci ospita, le case di accoglienza per gli anziani, gli ospedali, le missioni nei paesi poveri, le scuole cattoliche nate per educare e dare istruzione ai più marginali… l’oggi ci spinge a domandarci se abbiamo raggiunti i nostri obiettivi di riportare al centro i marginali e gli emarginati, se abbiamo formato alla scuola del Vangelo e alla pedagogia di Dio i cuori e le menti, i sentimenti e le intelligenze.

Dobbiamo domandarci se le nostre risposte sono sufficiente per far rimbalzare il grido che sale dalle “pietre di scarto” della società contemporanea. C’è spazio ancora per la creatività anche all’interno della Comunità ecclesiale per riportare al centro i nuovi marginali facendoci loro prossimo: sfida e opportunità, come dice il sottotitolo di questo Convegno.

CONCLUSIONE

Scusate se ho parlato delle marginalità in generale e poco delle povertà educative, tema che sarà adeguatamente approfondito dai relatori che seguono. Ho preferito allargare i riferimenti, perché vorrei che la scuola si sentisse non un’isola e tanto meno fosse relegata ad esserlo; l’educazione infatti avviene con il concorso di tutti, in tutti i momenti della giornata e in tutti i contesti della vita. La scuola da sola non educa. La scuola con la famiglia, con il quartiere, con la città contribuisce ad educare uomini e donne che hanno il cuore pieno di sogni e di ideali di bene, di giustizia, di pace. È questo il messaggio che vorrei consegnare oggi a voi che operate nel mondo della scuola, ringraziandovi per il vostro impegno a trasformare le povertà educative in occasioni di crescita per tutti, mettendo al centro chi, nelle vostre classi è o si sente marginale. E con ancora maggiore incisività lo rivolgo, come vescovo, agli insegnanti di religione che devono fare del Vangelo il loro statuto di vita e di servizio e alle scuole cattoliche che sono chiamate a sforzarsi ad essere luoghi dove la solidarietà e l’attenzione verso chi è nella povertà, intesa in senso lato, sono di casa.

+ Claudio Cipolla

BIBLIOGRAFIA

  • Bello, Pietre di scarto, La Meridiana, Molfetta 1993.
  • Bello, Sui sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989.
  • Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006.
  • Giaccardi – M. Magatti, La scommessa cattolica, Il Mulino, Bologna 2019
  • M. Martini, Le beatitudini, In Dialogo, Milano 2000.
  • Nervo, Una scelta cristiana e civile: partire dagli ultimi, Messaggero, Padova 2012.
  • Nervo, Il racconto di una vita, EDB, Bologna 2017.
  • Quaglia, Testimoni di umanità nella condizione postmoderna, EDB, Bologna 2014.
  • Ravasi – A. Sofri, Beati i poveri in spirito, Lindau, Torino 2012.
  • Theobald, Urgenze pastorali, EDB, Bologna 2019.
condividi su