Con il mercoledì delle Ceneri, il 22 febbraio, entriamo nel Tempo della Quaresima, il cui scopo è un ripensamento della nostra vita per prepararci a celebrare degnamente la Pasqua. È fortemente avvertito il bisogno di un cambiamento. Nella luce della fede si comprende che Dio stesso ci offre la grazia di un rinnovamento profondo e salutare della nostra vita.
In questo tempo di grave crisi economica sono risuonati frequentemente appelli ed esortazioni ad affrontare dei sacrifici, come necessari per una ripresa. In antecedenza, nell’era del benessere e del consumismo, si poteva ascoltare chi lamentava: “Si è perso il senso del sacrificio”. È un tema che vale la pena di meditare in questo tempo di Quaresima.
La parola ‘sacrificio’ è tipica del linguaggio religioso. Ma che cosa significa esattamente in tale contesto? E come si rapporta alla sfera profana?
Generalmente si pensa di saperlo, interpretando ‘sacrificio’ come equivalente di ‘rinuncia-privazione’ di qualche bene, di qualcosa che piace. Ma è proprio così?
Con questa riflessione vorrei dare una risposta a queste domande al fine di trovare il senso genuino di sacrificio, le sue motivazioni ideali e le sue applicazioni.
1. La parola sacrificio vuol dire letteralmente ‘sacrum facere’, rendere sacro qualcosa o qualcuno, offrendolo alla divinità. È da osservare che l’idea e la pratica del sacrificio si incontra nelle varie religioni, nell’Induismo, nel Buddismo Zen, nell’Islam e nelle cosiddette religioni naturali, seppure con accentuazioni e sfumature diverse. Si può dire che il sacrificio fa parte della storia dell’umanità, a cominciare da Caino e Abele (cfr. Gen 4,3-4), tanto che, secondo alcuni studiosi, le società sono fondate sul sacrificio. Da rilevare, inoltre, che i riti sacrificali rivestivano un carattere istituzionale-pubblico. I cristiani che rifiutavano di sacrificare agli dei, nell’Impero romano, erano condannati a morte.
Il sacrificio viene inteso, solitamente, come “immolazione di una vittima”, e questo ha a che vedere con la vita e con la morte. Lo scopo del sacrificio è, essenzialmente, la comunicazione con il Sacro, con la Divinità per adorarla e ottenere i suoi benefici.
2. Nell’Antico Testamento il sacrificio, collegato con il sacerdozio e il tempio, assume una notevole importanza, ed è regolato da una legislazione del culto sacrificale contenuta, specialmente, nei libri del Levitico e Numeri. I sacrifici sono di tipo diverso. L’“olocausto” si ha quando la vittima è bruciata totalmente, per cui tutto è offerto a Dio. Il sacrificio di “comunione” è l’offerta di lode, di devozione, di compimento di un voto a Dio. Vi è, poi, il sacrificio di “espiazione” per i peccati.
È da notare che, agli inizi dell’umanità, secondo la Bibbia, vigeva un regime vegetariano e il sacrificio consisteva in un’offerta di vegetali. Il passaggio ai sacrifici cruenti di animali viene interpretato dal fatto che l’umanità post-diluviana non era guarita dalla violenza, per cui l’abbattimento di animali le viene consentito, ma con la proibizione di consumo del sangue.
La Bibbia conosce la pratica dei sacrifici umani (cfr. Sal 106,37s.), ma essa è severamente proibita come pratica idolatrica. È questo il senso del “sacrificio di Abramo” (cfr. Gen 22,1-13): al posto del figlio Isacco, in obbedienza a Dio, egli sacrifica un ariete.
Dio, per mezzo di Mosè, prescrive al popolo di Israele:
«Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia» (Dt 18,9s.).
Importanza tutta particolare è il sacrificio pasquale dell’agnello immolato, per mezzo del quale il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù, ha fatto l’alleanza con Dio ed è entrato nella Terra promessa. In questo sacrificio c’è l’unione del rito cruento (agnello immolato) e dell’offerta vegetale (pane e vino). Esso è un ‘memoriale’ da essere celebrato ogni anno.
Nello stesso tempo, i Profeti hanno elaborato una interpretazione personalizzata e spirituale del sacrificio mettendo in luce quello che doveva essere il suo valore profondo di obbedienza a Dio e di amore al prossimo. Samuele dice a Saul:
«Il Signoregradisceforsegliolocausti e i sacrifici quanto l'obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio» (1Sam 15,22).
Il profeta Osea, con la stessa ispirazione, enuncia questa intenzione di Dio che sarà riproposta da Gesù stesso:
«Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Os 6,6; cfr. Mt 9,13; 12,7).
Osea propone, anche, il “sacrificio di lode”:
«Preparate le parole da dire e tornate al Signore; ditegli: “Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra”» (Os 14,3).
Questo senso del sacrificio viene espresso nei salmi:
«La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 141,2).
In questa stessa linea, è sacrificio davanti a Dio “il cuore contrito” nella confessione dei propri peccati:
«Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 51,18-19).
3. Il sacrificio di Cristo e dell’Eucaristia
È familiare al cristiano la figura di Gesù che sulla croce offre la sua vita come un sacrificio di redenzione. È l’“Agnello immolato” della Pasqua che porta a compimento e sostituisce la figura dell’agnello dell’antica alleanza. Viene crocifisso nell’ora in cui, nel tempio di Gerusalemme, si offrivano i sacrifici. Occorre che comprendiamo bene il senso genuino del sacrificio di Cristo sulla croce, che ha posto fine a tutti gli altri sacrifici.
Il sacrificio di Cristo consiste, essenzialmente e primariamente, nell’offerta di se stesso e della sua vita in obbedienza e amore a Dio Padre e a noi per la nostra salvezza. Con l’oblazione di se stesso, Gesù opera il passaggio dal sacrificio di cose esteriori a un’oblazione di sé esistenziale, che prende il centro della vita per donarlo a Dio e ai fratelli. Il sacrificio di Cristo è il dono totale di sé, della sua persona fino alla morte, dono ispirato da un amore senza misura, che va «fino all’estremo» (Gv 13,1).
In conseguenza della sua obbedienza a Dio e del suo amore, della sua solidarietà con noi peccatori, Cristo ha subìto e accettato la croce. Quindi, Cristo non ha scelto la sofferenza e la croce, – nel Getsemani ha pregato il Padre di allontanargli questo calice (cfr. Mt 26,39) – ma l’ha accettata come espressione di obbedienza e di amore. Il sacrificio di Cristo sulla croce, che ripara il rifiuto di Adamo e stabilisce la piena comunione con Dio e tra gli uomini, è avvenuto una volta per tutte e per tutti. Non ha senso che sia ripetuto. Il sacrificio della Santa Messa non è la ripetizione, ma la ripresentazione nel tempo e nello spazio, dell’unico sacrificio di Cristo.
Nella celebrazione dell’Eucaristia, che rende presente e attuale l’immolazione di Cristo sulla croce, la parola sacrificio ritorna con frequenza riferita a Cristo ma, anche, ai partecipanti:
«Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi.
… Questo è il mio sangue versato per voi».
E dopo la consacrazione, il celebrante prega:
«Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito».
4. Il culto della vita: amore, obbedienza, carità, preghiera.
In virtù dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana e, soprattutto, partecipando all’Eucarestia, riceviamo la grazia di far passare nel nostro vissuto esistenziale l’atteggiamento di donazione di Gesù Cristo.
Le indicazioni del Nuovo Testamento vanno nella direzione, già indicata dai profeti, di una interiorizzazione del senso essenziale del sacrificio, da tradursi in atteggiamenti vitali verso Dio e verso il prossimo. Viene, quindi, proposto di rendere la vita una espressione liturgica, la liturgia della vita. Qui si vede una re-interpretazione della separazione tra sacro e profano. San Pietro così si esprime:
«Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,5).
Sacrificio spirituale è la preghiera, “sacrificio di lode”.
San Paolo propone analogamente un “culto spirituale” consistente nel “sacrificio vivente” che è l’offerta del proprio vissuto espresso dal corpo.
«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro cultospirituale» (Rm 12,1).
Parte integrante del “sacrificio spirituale” è l’esercizio della carità.
È interessante, in questa ottica, rilevare come san Paolo qualifichi la colletta delle comunità cristiane greche, a favore della Chiesa di Gerusalemme, come “attività liturgica”, come ‘Eucaristia’ (cfr. 2Cor 9,12).
Similmente egli denomina come ‘azione liturgica’ l’assistenza che gli ha prestato Epafrodito (cfr. Fil 2,25. Per significare l’assistenza si usa il termine “leiturgon”).
Sant’Agostino, in riferimento polemico con i sacrifici pagani, ha espresso con la sua acutezza il senso cristiano del sacrificio.
«Vero sacrificio – scrive – è ogni azione compiuta per unirsi a Dio in santa comunione, ossia riferita a quel sommo bene che ci può rendere veramente beati» (cfr. De civitate Dei, LX,6).
È l’uomo stesso, in quanto vive consacrato a Dio, ad essere un sacrificio vivente. Riferendosi al testo di Rm 12,1, che abbiamo citato, Agostino scrive che è un sacrificio la temperanza con cui trattiamo il nostro corpo. Sacrificio è soprattutto l’amore. Ancor più «la stessa anima diviene un sacrificio quando si rivolge a Dio per essere accesa dal fuoco del suo amore» (Ivi).
Con grande profondità, poi, Agostino considera come vero sacrificio le «opere di misericordia, sia verso noi stessi sia verso il prossimo, fatte in riferimento a Dio» (Ivi). Ne consegue – egli scrive – che «tutta la città redenta, cioè l’assemblea e la società dei Santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale» (Ivi).
Agostino esprime qui la grandiosa visione del “Cristo totale” che unisce Capo e membra in un unico corpo e rende, quindi, i cristiani partecipi dello stesso sacrificio di Cristo: «Questo è il sacrificio dei cristiani» (Ivi).
5. Educare allo spirito del sacrificio
Sulla base delle considerazioni che abbiamo espresso, è possibile e importante recuperare il senso e il valore del sacrificio, anche se non è facile cambiare mentalità. Anche noi cristiani non sempre l’abbiamo compreso e proposto nel suo genuino significato. Notiamo, anzitutto, che l’evoluzione socio-culturale ha condotto, con il processo di secolarizzazione, a una visione della vita di tipo “profano” che astrae dalla religione e dal sacro. In questa ottica, il sacrificio, nel senso religioso sacrale, non appare più significante. Nella concezione secolarizzata il termine viene assunto come impegno e rinuncia a qualcosa e, persino, alla vita stessa per una “nobile causa”: la Patria, lo Stato, per ottenere uno status sociale etc. Quanto alla concezione cristiana del sacrificio, come s’è detto, essa lo ha interpretato in chiave personalistica spirituale ed etica, ma in riferimento, anzitutto, a Dio.
Il sacrificio, interpretato alla luce dei profeti e di Gesù, significa, essenzialmente, l’offerta, il dono di se stessi, della propria persona a Dio e al prossimo. Possiamo dire che è l’applicazione del 1° comandamento: «Io sono il Signore tuo Dio, […] non avrai altri dei di fronte a me» (Es 20,2s.; Dt 5,6s.), oppure, come l’esprime il Vangelo: «..adorare il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23).
Dare il primato a Dio significa riconoscere la Sorgente della vita e dei valori, rende liberi dalla schiavitù degli idoli, che sono falsi assoluti, infonde luce di sapienza per valutare rettamente la realtà.
Il senso genuino, l’ispirazione e l’anima del sacrificio è l’amore, il dono di sé che, in un mondo caratterizzato dalla menzogna, dall’egoismo, dalla violenza, comporta rinuncia e sofferenze, anche dolorose.
Il cristianesimo propone una concezione della persona che si realizza pienamente nel dono di sé (cfr. Concilio Vaticano II, GS, 24), sacrifica se stessa per gli altri, non sacrifica gli altri per il proprio benessere. Una conseguente affermazione della fede cristiana, consona alla verità che «Dio è amore» (1Gv 4,8), è che «la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore» (GS, 38).
Il Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica “Caritas in veritate”, ha proposto, nella sfera economica e dello sviluppo, il significato e il valore del dono valorizzando la categoria della fraternità.
Queste considerazioni portano a chiedersi: in che cosa consiste il vero progresso sociale? Può essere computato solo in termini di Pil, di economia e di tecnologia? La nostra società ha realmente progredito, in termini di valori, in questi anni?
Questa considerazione porta, anche, ad interrogarsi sul tema educativo che, oggi, attraversa una fase critica, al punto che i Vescovi italiani hanno proposto un decennio (2010-2020) per affrontare l’esigenza educativa. Come educare o ri-educare allo spirito di sacrificio?
È chiaro che, se sacrificio viene inteso primariamente o solo come rinuncia-privazione, appare una proposta non percorribile.
Il problema è quello di un’antropologia, esplicita o implicita, secondo cui il movente ultimo della realtà sarebbe il principio del piacere, inteso in senso riduttivo psico-fisico, avulso dalla dimensione spirituale, relazionale e comunitaria della persona. Già sant’Agostino aveva compreso che noi, nel nostro agire, siamo determinati, più che dalle idee, da quello che ci procura diletto; ma egli intendeva il diletto in senso integrale, quello, cioè, che dà un senso di realizzazione piena all’esistenza.
In realtà, quello che procura diletto è la percezione che ciò che scegliamo e facciamo, anche se faticoso, ha un senso. La crisi più grave, personale e sociale, che affligge la persona, è il vuoto interiore, l’oscuramento e lo smarrimento del senso della vita; è questa la frustrazione più deleteria che si manifesta, anche, in una malattia diffusa: la depressione.
Ad essere frustrate vuote e depresse non sono le persone che si sacrificano per l’amore di Dio e per gli altri spinti da un ideale di servizio, ma quanti, pur avendo ricchezze e piaceri, non hanno uno scopo per cui vivere e donare se stessi.
Il nocciolo del problema educativo sta qui. Il resto appartiene ai metodi e alla didattica.
La nostra società, veneta in particolare, che ha sperimentato nell’ultimo ventennio una “grande trasformazione” (cfr. D. Marini, La grande trasformazione, Padova, 2012) in aspetti fondamentali, non solo demografici e di stili di vita ma, anche, di visione e di senso della vita, appare, oggi, piuttosto incerta e smarrita. Certamente il vivere è diventato più complesso e faticoso. La visione secolarizzata della vita si rivela insufficiente e incapace di rispondere ai desideri più profondi della persona e al senso pieno della vita. Per questo, la domanda di senso e di spiritualità è diventata una esigenza più acuta.
In questa situazione, le comunità cristiane sono chiamate e sfidate a proporre e a testimoniare esperienze di “vita nuova secondo lo Spirito”, in una rinnovata evangelizzazione.
La crisi economica incombente rappresenta una prova molto seria. Il governo attuale persegue l’obiettivo dell’equità. E, in verità, è necessario correggere situazioni di grave sperequazione e ingiustizie sociali, di ricchezze nascoste, di favoritismi, di evasioni fiscali. In questo caso, non si tratta tanto di ‘sacrifici’, quanto, piuttosto, di giustizia e di giusta riparazione. Dovrebbe essere chiaro che attività economica ed etica non sono separabili.
Una questione molto seria si pone riguardo all’obiettivo della crescita. La crescita economica non dovrebbe essere disgiunta dalla crescita di autentici valori che ispirano una “vita buona”.
Abbiamo visto che la storia registra il fatto di sacrifici umani offerti agli idoli; e questo fa pensare all’uomo moderno di aver superato questa fase di sacro selvaggio dell’umanità.
Ma è proprio così? A ben considerare non si compiono forse, oggi, dei sacrifici di vittime umane a qualche idolo? Pensiamo all’idolo della razza e all’antisemitismo che hanno indotto genocidi, pulizia etnica e Shoa, pensiamo al terrorismo e alla violenza perpetuata in nome di una falsa concezione di Dio o di interessi politici, economici, etc.
Pensiamo, anche, all’aborto volontario. Non è, forse, una vita umana innocente sacrificata all’idolo dell’egoismo, del benessere e del tornaconto personale?
Qui si pone una questione di enorme rilevanza. Se accettiamo il male giustificandolo con argomenti che riteniamo ragionevoli, si pone la domanda: ci può mai essere vero progresso dell’umanità? E se al male non c’è soluzione, non è questa una visione di radicale pessimismo? A questi inquietanti interrogativi è proprio il Sacrificio di Cristo sulla Croce che dà la risposta, sacrificio che ha conseguito la Risurrezione.
Gesù Cristo, accettando di essere immolato sulla Croce come vittima innocente, sarà sempre dalla parte delle vittime della menzogna, della violenza, dell’ingiustizia, capace di ridare quella vita che è stata loro tolta.
6. Attingere dall’Eucaristia, dalla purificazione del cuore e dalla preghiera lo spirito del sacrificio
La Quaresima è il tempo propizio e di grazia, offerto da Dio, per ritrovare le sorgenti più rinnovatrici della nostra vita. È l’invito, anzitutto, a riscoprire la grandezza del Sacrificio di Cristo, che è il suo infinito amore misericordioso per noi peccatori. Il sacrificio di Cristo lo incontriamo vivo e attuale nell’Eucaristia.
Prendervi parte con una fede viva vuol dire ricevere da questa inesauribile sorgente divina la capacità di vivere lo spirito del sacrificio, di fare, cioè, della nostra vita e della nostra attività un dono che non può essere distrutto dalla morte e, neppure, dalla violenza e dall’ingiustizia, perché il Crocifisso, apparentemente sconfitto, è Risorto ed è, dunque, il vero Vincitore.
Nella celebrazione dell’Eucaristia viene assunto e offerto a Dio il lavoro. Nel pane e nel vino il celebrante presenta a Dio il “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Ecco il senso grande del lavoro: «nel lavoro umano il cristiano ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di redenzione nel quale Cristo ha accettato per noi la croce» (Giovanni Paolo II, Enciclica Laborem exercens, 27). Partecipando all’Eucaristia preghiamo, anche, perché tutti possano avere un lavoro onesto e dignitoso.
C’è un altro aspetto del “sacrificio eucaristico” che è importante considerare e interiorizzare.
All’offerta del pane e del vino, collocata sull’altare affinché divengano corpo di Cristo, la Chiesa chiede che si uniscano le offerte per i poveri, che rappresentano anch’essi il corpo di Cristo e sono da collocare nel cuore della Chiesa, custoditi e venerati con la carità. È importante far comprendere e vivere questo atteggiamento, come scrive Benedetto XVI: «La frazione del pane eucaristico deve proseguire nello “spezzare il pane” della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere quanto si possiede, a donare e così vivere. È semplicemente l’amore in tutta la sua immensità che si manifesta in questo gesto, e con esso il nuovo concetto cristiano di culto e di cura per il prossimo» (Prefazione al libro diJ.P. Cordes,L’aiuto non cade dal Cielo, Cantagalli, 2012).
In questa prospettiva raccomando le proposte della “Quaresima di fraternità” della Diocesi.
È un vero peccato che la Domenica, Giorno del Signore, sia ormai praticamente considerata giorno di mercato, al pari degli altri. La ritengo una scelta profondamente sbagliata, non un guadagno ma una perdita non solo per la fede cristiana ma, anche, per dare senso alla vita e all’attività umana. Ritengo, inoltre, ingiusto che si privino tante persone del loro diritto di santificare la domenica partecipando alla Santa Messa e godendo della gioia delle relazioni familiari. Considero contraddittorio difendere il crocifisso come oggetto ma non il Crocifisso Risorto dell’Eucaristia domenicale; la Realtà vale infinitamente più del segno.
In questa Quaresima c’è un sacrificio che tutti siamo chiamati a compiere: è il sacrificio del «cuore contrito e umiliato» (Sal 51,19) per i nostri peccati. Questo è davvero sacrificio gradito a Dio.
La Sacra Scrittura considera la “durezza del cuore” come particolarmente grave, in quanto denota insensibilità e indifferenza verso Dio e verso il prossimo. Ascoltiamo la voce di Dio che ci chiama alla conversione in questo tempo di Quaresima. Lo fa con i richiami della sua Parola, lo fa, anche, con quel senso di tristezza, di vuoto e di frustrazione che proviamo nel nostro intimo quando la nostra vita non è orientata a Dio e non lo accogliamo. È un richiamo alla conversione di modelli e stili di vita anche l’attuale crisi. Incoraggio, inoltre, a riscoprire il senso profondo del digiuno per liberare la nostra vita da tante cose inutili e vane che ci appesantiscono.
E poi vorrei esortare a offrire a Dio il “sacrificio della lode”, della preghiera.
Dio non ne ha bisogno, ma gradisce la preghiera per riversare sulla nostra vita il suo amore, la sua luce, la sua forza divina.
Cerchiamo, in questa Quaresima, di dedicare più tempo a rientrare in noi stessi e a riscoprire la sorgente viva della preghiera.
La Quaresima è un cammino di fede che conduce, sulle orme di Cristo, alla Pasqua di Risurrezione. Intraprendiamola con fiducia e ne trarremo un rinnovato senso di vita e di speranza.
Antonio Mattiazzo
Vescovo di Padova