È mancato all’alba di martedì 18 maggio 2021 don Emilio Favarato. A settembre avrebbe compiuto 81 anni.
Don EMILIANO FAVARATO (Piove di Sacco, 01.09.1940 – Padova, 18.05.2021)
Don Emilio Favarato nacque a Piove di Sacco il giorno 1 settembre 1940. Non perdeva occasione per parlare del papà Giovanni che aveva trascorso la sua vita lavorativa nella tipografia che fu prima del Seminario, poi dell’Antoniana. Era anche molto legato alla mamma Natalina, quantunque fosse assai riservato nel manifestare i sentimenti personali. Emilio era il primo figlio della famiglia, poi seguito da Maria Teresa e Paolo.
Venne ordinato presbitero il 7 luglio 1966 e testimoniava di aver conservato un ricordo bello e grato degli educatori del Seminario, personalità spesso notevoli.
Il primo incarico lo vide cooperatore a Carmignano di S. Urbano, dove fu stimato tanto dalla popolazione per la giovane età. L’anno successivo fu cooperatore a San Paolo in Padova, dove rimase fino all’autunno 1974 quando venne trasferito con lo stesso incarico ad Arzergrande. Vi restò qualche mese, visto che con l’estate 1975 giunse l’incarico di cooperatore a San Daniele in Padova. Don Emilio amava raccontare le sue prodezze di giovane prete in linea con il Concilio Vaticano II: quella particolare stagione di aperture rappresentava per lui il ricordo più bello, insieme alle gite con i giovani in tenda, a bordo della sua NSU.
Nel 1981 arrivò l’incarico di parroco che lo legò alla nuova comunità di Padovanelle – Santa Caterina da Siena.
Il piano urbanistico delle Padovanelle risale agli anni 1962-1964 e prevedeva la creazione di un quartiere autosufficiente di 1.500 abitanti dotato dei servizi principali. Il quartiere che andava crescendo, una volta distintosi da Ponte di Brenta, avrebbe avuto bisogno di una chiesa, che si poté costruire tempo dopo sul terreno donato da un privato. La parrocchia nacque ufficialmente il 6 gennaio 1977 e il vicario parrocchiale di Ponte di Brenta, don Guglielmo Rossi, ne divenne il primo responsabile, seguito poi da don Emilio, il quale si trovò successivamente nella necessità di pensare a una vera e propria chiesa in sostituzione dell’ambiente precedentemente costruito.
All’inizio di maggio 1983 si celebrò la prima festa patronale, secondo gli usi e i giochi del tempo. Nell’estate successiva suonò la prima campana concessa dalla Fondazione Breda e prima usata nella cappellina dell’Istituto, distrutta nel corso della seconda Guerra Mondiale. Si susseguirono iniziative sportive con lo scopo di diversificare e unire allo stesso tempo le due comunità di San Marco e Santa Caterina. Col tempo ci si rese conto che le prime opere realizzate (chiesa-salone parrocchiale, aule e impianti sportivi, casa per il parroco) non erano più adeguate e si aprì il dibattito sulla prosecuzione delle opere. A inizio 1991 ebbe inizio la campagna di raccolta fondi, mentre l’architetto Oscar Marchi si mise al lavoro per preparare un progetto adeguato. Il 29 aprile 1992 vi fu la benedizione dell’area e della prima pietra. L’allora sindaco di Padova, dott. Paolo Giaretta, dopo aver citato nel suo saluto alcuni passaggi di Santa Caterina da Siena a proposito del rapporto tra la città e l’uomo, aggiunse: «La città si costruisce attorno a valori condivisi di solidarietà. (…) Vedere sorgere una nuova chiesa, in una comunità di quartiere, è un atto di fede verso il futuro». L’8 dicembre 1995 si giunse alla benedizione della chiesa, che sarebbe poi stata dedicata l’8 dicembre 2008 dal Vescovo Antonio Mattiazzo.
Annotava don Emilio nei Bollettini parrocchiali:
«Questa giovane santa (S. Caterina) mi aveva sempre entusiasmato per la sua spiritualità profonda e per la sua “virile” forza d’animo. L’avevo immaginata una Santa coi pantaloni. Diventare parroco per la prima volta dove non c’era la chiesa era come sposarsi… senza la sposa».
«Quando gli operai escono dal cantiere ultimato i muri sono freddi e la costruzione è vuota, ma già parecchie mani si sono mosse e continuano a farlo per un drappo, un mazzo di fiori, o per accompagnare un gruppo di bimbi o un’anziana persona a rendere vivi e caldi quei muri della chiesa. Un mistero di relazioni, di rapporti, di intrecci che soli sanno scaldare e dare vita ad una chiesa, ad una comunità. (…) Ad edificio finito occorre sempre che il cantiere della comunità rimanga aperto, in costruzione, perché il Suo regno cresca, la Sua Parola risuoni. Quando avrete sistemato tutto, lasciate in un angolo un mucchietto di sabbia e quattro mattoni in pila: forse possono essere un richiamo affettuoso per ciascuno al cantiere aperto della vostra Comunità».
Per don Emilio l’esperienza alle Padovanelle fu umanamente ricca, ma i problemi legati alle risorse, ai pagamenti dei lavori e a qualche incomprensione lo provarono parecchio; gli stessi impegni umani e pastorali si fecero gravosi, tanto che avrebbe voluto andar via dalla parrocchia in punta di piedi e senza farsi notare.
A settembre del 2000 si ritirò, quindi, presso un appartamento di proprietà con la mamma Natalina, mantenendo vivi i contatti e la collaborazione con la parrocchia cittadina di San Paolo, dove si portava ogni giorno con l’immancabile sigaro e il cappello a tesa larga: pur non desiderando un incarico stabile, conservava sempre il desiderio di contatto con la gente. Viveva in modo riservato, da uomo sobrio e di poche esigenze; poco avvezzo ai moderni mezzi di comunicazione, ai quali preferiva l’uso di carta e penna, ma sempre pronto nelle faccende di casa come alle esigenze della comunità di San Paolo.
Dal 1967 e fino al 1987 fu ininterrottamente insegnante di religione a Padova (Scuole Medie T. Tasso, G. Falconetto, B. Cristofori; Istituto d’Arte R. Selvatico) e Arzergrande. Don Emilio aveva una certa facilità di contatto con i ragazzi ed era da loro cercato. Seguiva ogni genere di sport alla televisione ed era grande amante della box: «Forza Emilio, infila i “guantoni” e combatti», era stato l’augurio di un compagno di ordinazione in questi giorni.
Buono di carattere e mite, riflessivo e analitico, schivo e riservato, don Emilio cercava di considerare le persone e di ascoltarle con benevolenza, forse perché provato interiormente da un senso di poca autostima e, forse, di mancato sostegno riscontrato nel tempo. Il senso di mortificazione che spesso lo accompagnava andava di pari passo all’intelligenza briosa e allo stile spigliato, al sorriso facile e alla cultura. A questo proposito, a scuola gli veniva riconosciuta una «fantasia dantesca»: in effetti era solito mettere assieme realtà e fantasia, sagacia e rispetto, la facilità della parola e i sonetti dialettali in rima, l’amore per gli oggetti storici e l’affetto per i libri (che aveva imparato ad apprezzare da papà Giovanni). Nell’estate 2020, durante un ricovero al Sant’Antonio, aveva occupato il tempo leggendo lo storico greco Erodoto!
Colpito da malattia grave, ebbe alterne vicende di salute sostenute con pudore e ironia fino a quando, qualche giorno fa, la situazione è precipitata velocemente. La morte lo ha colto di primo mattino, alle 4 di martedì 18 maggio 2021.
Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio venerdì 21 maggio alle ore 15.30 nella chiesa di San Paolo. La salma riposerà poi nel Cimitero Maggiore di Padova.