Poveri e Così non Sia è il titolo del Rapporto 2017 sulla lotta alla povertà, redatto dalla Fondazione Emanuela Zancan onlus di Padova, per le edizioni Il Mulino (p. 182, € 18,00) presentato il 21 marzo 2017, a Padova all’interno del pomeriggio in memoria di don Giovanni Nervo e don Giuseppe Benvegnù-Pasini, che ha visto un approfondimento sul tema Generatività, carità e giustizia verso nuovi scenari.
Poveri e così non Sia è un titolo “sintesi” di una sfida: quella di attuare un vuoto di ideazione e strategie di lotta alla povertà che ha accompagnato gli ultimi trent’anni in Italia. Se, infatti, quando si trattava di costruire opere e strutture la programmazione e gli interventi pubblici sono serviti e hanno portato frutti, nel cambio di marcia che ha investito la società tutta, e italiana nello specifico, con un aumento progressivo della povertà e delle classi di povertà e la necessità di investire sempre di più sulla persona, le politiche sociali hanno evidenziato una fragilità strutturale, prediligendo la formula dei trasferimenti di denaro a quella dell’erogazione servizi.
Questa in estrema sintesi l’analisi del Rapporto 2017 sulla lotta alla povertà, che si propone di superare l’immobilismo tecnico e politico con alcune proposte che «entrano nel merito di come si potrebbe aprire una nuova stagione della programmazione sociale, per lottare contro la povertà in modi efficaci, con i poveri, valorizzando le capacità di ogni persona», come scrive il presidente della Fondazione Zancan, Cesare Dosi, nella presentazione.
Il Rapporto 2017 analizza il panorama delle risorse e guarda alla storia per vedere cosa c’è a disposizione, ma anche dove si è sbagliato finora e quali sono i nodi che impediscono un virtuoso piano di lotta alla povertà.
Si sviluppa in tre parti. Nella prima – Poveri e così sia? – si cerca di analizzare come mai, guardando indietro nella storia, la programmazione non ha funzionato e non ha mantenuto le sue promesse e quali potrebbero essere le strade percorribili nella progettazione, nel senso e nella gestione delle scelte, evitando alcuni errori. Nella seconda parte – Risorse non governative – si guarda alle risorse a disposizione e ai margini di utilizzo innovativo, quindi, nella terza parte – Potenzialità da coltivare – si concentra l’attenzione sui potenziali di innovazione della lotta alla povertà, sia con lo sguardo degli operatori, «entrando nel merito della relazione “di aiuto e di potere” e di come trasformarla in incontri di capacità e risorse, cioè di incontro tra diritti e doveri»; sia con lo sguardo dei gestori, finanziatori e di quanti hanno interesse che le risorse vengano utilizzate al meglio, «misurando il loro impatto sociale per conoscere il valore economico e umano redistribuito».
Il Rapporto 2017 della Fondazione Zancan si chiude quindi – spiega il direttore Tiziano Vecchiato «con una sintesi complessiva e una proposta che riguarda quattro linee di pianificazione a disposizione per un piano nazionale di lotta alla povertà che volesse affrontare in modi non conformistici e rituali la sfida che lo aspetta».
Il problema sostanzialmente non è la mancanza di fondi per il sostegno sociale, ma la loro forma di utilizzo. Ogni anno in Italia si impegnano circa 50 miliardi di euro per misure strutturali come pensioni assistenziali, assegni familiari, interventi socio assistenziali a livello locale a cui vanno aggiunti i fondi messi a disposizione per interventi a tempo o sperimentali (su cui però non c’è una verifica del beneficio), che nell’ultimo ventennio hanno preso vari nomi, tra cui: reddito minimo di inserimento; bonus straordinario per famiglie, lavoratori, pensionati e non autosufficienti; carta acquisti (social card); nuova social card sperimentale; Sia; bonus bebé; bonus famiglie numerose, bonus elettrico e bonus gas; assegno di disoccupazione involontaria; bonus 80 euro.
A fronte quindi di un panorama in cui le risorse ci sono, la questione va posta sulla modalità di erogazione delle risorse e sulla verifica e valutazione delle risposte messe in essere, nell’ottica del welfare generativo.
Il Rapporto 2017 sulla lotta alla povertà propone due strategie complementari. «La prima si concentra sui potenziali di diverso utilizzo delle risorse, con scelte coraggiose e di riconversione della spesa assistenziale. La seconda entra nel merito di come trasformare una parte di essa “da trasferimenti a servizi” per le persone e le famiglie. Il focus per entrambe è “da costo a investimento” per ottenere rendimento delle risorse a disposizione, in “concorso al risultato” per poter misurare l’impatto sociale».
Quattro le risorse che attualmente, secondo gli studi della Zancan, remunerano diritti discutibili (perché omogenei, riferiti alla “condizione” più che a tutti i mezzi economici – reddituali e patrimoniali – dei beneficiari, e quindi non comprensivi del principio di equità e giustizia distributiva) con modi discutibili: assegni familiari (circa 6 miliardi di euro); una parte delle pensioni/assegni sociali e delle integrazioni al minimo delle pensioni di vecchiaia (quasi 10 miliardi di euro in tutto, di cui circa due miliardi dati a “pensionati ricchi”), le indennità di accompagnamento (circa 11 miliardi), i trasferimenti a pioggia motivati in diversi modi (circa 19 miliardi negli ultimi 15 anni).
Una riallocazione di parte di questi fondi, senza togliere diritti, ma riconoscendo la possibilità di esercitarli in modo solidale, più giusto e con regole condivise dai destinatari, potrebbe ridurre sostanzialmente la povertà, se il valore viene moltiplicato con pratiche di welfare generativo.
Come?
– redistribuendo, senza mettere in discussione il diritto finora riconosciuto, dando di
più ai poveri e di meno ai ricchi;
– prevedendo forme di riconversione di parte dell’attuale spesa per trasferimenti in servizi agli aventi diritto, con modalità analoghe a quelle utilizzate negli accordi di welfare aziendale;
– nel caso degli assegni familiari, per esempio, destinarne una parte (circa un miliardo e mezzo su sei) per facilitare l’accesso ai servizi 0-3, con la costituzione di un “fondo prima infanzia” solidale che permetterebbe di gestire 200 mila nuovi posti nido, dando lavoro a circa 40mila donne, con l’effetto di calmierare anche i costi di accesso al servizio;
– sulle erogazioni a pioggia passare da tante misure che a volte si sovrappongono a una misura unica, governabile, tracciabile, trasparente. In questo caso l’azione programmatoria sarebbe chiamata a definire: i modi e tempi della trasformazione; la modalità di gestione di “trasferimenti e servizi connessi”; la modalità di promozione e gestione del concorso al risultato dei beneficiari; la quantità di rendimento ai beneficiari.
Con queste premesse almeno la metà dell’attuale spesa per l’assistenza sociale – circa 25 miliardi – potrebbe essere gradualmente trasformata in spesa capace di rendimento e rigenerazione, valorizzando l’incontro tra diritti e doveri.
Ma per attuare un serio ed efficace piano di lotta alla povertà, che prevede anche un sostanziale cambiamento culturale e di mentalità – sottolinea il rapporto della Fondazione Zancan – va considerata una pianificazione di almeno dieci anni, per passare dall’ideazione alla modellizzazione delle soluzioni, all’implementazione vera e propria.
Info: www.fondazionezancan.it, 049 663800
fonte: ufficio stampa diocesano