Omelia del Te Deum – 31 dicembre 2022
È l’ultimo giorno dell’anno civile; sono le ultime ore: questo nostro incontro è “Amen” conclusivo di una lunga preghiera durata 365 giorni. Ci troviamo con il Signore Gesù, guidati dal suo Spirito per dire grazie al Padre misericordioso, per alzare la nostra lode al Signore del tempo e della vita.
L’ostensione del pane eucaristico porta a far convergere il nostro sguardo, tutti insieme, verso un pezzo di pane, memoria dell’eucaristia domenicale e della compromissione con Gesù di noi, suoi discepoli. I nostri occhi portano con sé le nostre storie personali, famigliari, comunitarie, anche le storie di tutti i nostri cari e le portano dentro questo pane. Far convergere i nostri sguardi su Gesù, è un atteggiamento che questa sera richiama alla mia memoria il motto scelto dal nostro vescovo emerito Antonio “Ricapitolare in Cristo tutte le cose”: come tanti piccoli fasci di luce guardiamo e illuminiamo quel pane: vi riconosciamo il pane della domenica ma anche dei giorni feriali, vi discerniamo il pane degli angeli ma anche il pane degli uomini e delle donne, frutto spesso di sudore e di lavoro, vi identifichiamo il pane che crea comunione ed è memoria della donazione del Figlio di Dio ma anche forza e motivazione di tante scelte degli uomini e delle donne. In questo pane vogliamo ricapitolare l’anno che è giunto alla sua conclusione. Poi ci resta, per chi è nella possibilità di farlo, un po’ di festeggiamento con qualche amico e con la propria famiglia. Per molti purtroppo la sola compagnia sarà quella del Signore stesso: situazione di grazia e di libertà ma anche di solitudine e sofferenza. Dipende dal nostro cuore.
Il fascio dei nostri sguardi che si incontrano nel Pane eucaristico sono sguardi che vedono il segno dell’amore del Padre che ha donato e dona il suo figlio per noi, per ciascuno di noi, per la nostra gioia e felicità, perché abbiamo benedizione e pace. I nostri occhi vedono e contemplano l’amore del Padre che non ha esitato a donare il suo figlio unigenito; che non ha atteso ma è venuto incontro ai suoi figli prodighi, alle sue pecorelle sperdute, alle sue monete perse, ai suoi pubblicani, peccatori, prostitute, lebbrosi, ai suoi Zaccheo, Levi, Maddalena, Pietro, Giacomo e Giovanni, Giuda… Questo Pane che accoglie e unisce i nostri sguardi è parola eterna, racconto fedele dell’amore divino, manna che nutre durante il cammino.
Questo Pane raccoglie e assume in sé anche le nostre briciole, i nostri cinque pani: poca cosa sono stati i nostri gesti di amore, poca cosa sono state le nostre buone parole e le benedizioni portate ai nostri fratelli e sorelle ma siamo contenti del bene che abbiamo potuto compiere sia di quello compiuto consapevolmente e nel nome del Signore Gesù, sia quello che pur senza una intenzione religiosa abbiamo donato. Sappiamo che gli uomini e le donne hanno nel loro dna il desiderio di fare del bene; tra queste cose belle ci sono tante mani generose e capaci di accarezzare, tanti gesti di carità e di giustizia spesso sofferti, tanti sorrisi di bontà che ci perdiamo anche al solo pensiero della loro grandezza, del loro numero, della loro ampiezza, profondità, costanza. Poca cosa rispetto all’amore di Dio ma che bellezza, che gioia è averne fatto esperienza!
Qualche giorno fa, rilasciando un’intervista ad un giornale locale, ho potuto ripercorrere il nostro anno e mi sono sorpreso nell’elencare il tanto bene che la nostra Chiesa ha compiuto: i 60 bambini ucraini che abbiamo accolto e ospitato presso l’ex seminario minore di Rubano; i fondi raccolti per la solidarietà verso la popolazione ucraina; i 63.000 pasti delle cucine popolari, l’accoglienza in case opportunamente predisposte di adolescenti in difficoltà o di donne vittime della tratta, le preghiere per la pace con la quale abbiamo iniziato la quaresima e la lampada della pace che sta ancora camminando per il vasto territorio della nostra diocesi; gli incontri con i giovani per indicare loro la strada del vangelo e della fede, le visite agli ammalati, ai carcerati, alle persone disabili e alle loro famiglie, rese santuari e tabernacoli, gli anziani soli o nelle case di riposo e tanto tanto altro bene seminato anche in altri paesi del mondo, dalla nostra Chiesa diocesana, dalle nostre comunità parrocchiali e associative, dai nostri cristiani e dalle loro famiglie, dai consacrati e dalle consacrate: un mondo di bene nascosto, silenzioso, umile.
Un mondo di bene che consegniamo al Signore perché venga amalgamato col suo amore ed incorporato in esso come si fa con la farina quando si impasta a mano.
Sul cuore del Signore poniamo anche il perdono concesso nelle offese, la pazienza e la benignità con cui abbiamo reagito alla fatica delle relazioni famigliari e comunitarie, memori che proprio questo pane non solo ci accompagna, ma sempre ci dona la forza, per riuscire a contraccambiare il male facendo il bene.
Questo anno si conclude con il passaggio al cielo del papa emerito, Benedetto XVI: ringraziamo il Signore per avercelo donato. Con lo sguardo fisso sul Pane intravvediamo la promessa di una vita che non muore. Questo è pane di vita eterna, farmaco di immortalità: contemplando quel pane, pur nella sofferenza umana, si sono aperti per Benedetto – e un giorno speriamo anche per noi – cieli nuovi e terra nuova. In questi ultimi anni di vita, mentre il suo fisico lentamente deperiva di giorno in giorno, secondo la logica dell’Eucarestia Egli andava invece costruendosi e rinnovandosi come creatura nuova che oggi ha visto la sua luce, è nata al cielo. In una delle sue catechesi nelle udienze del mercoledì affermò: «L’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento». Così è stato per Gesù al quale volgiamo ancora il nostro sguardo contemplando il segno del suo amore che per sempre viene offerto e nel quale anche Benedetto viene ricapitolato.
+ Claudio, vescovo