Nel giorno dell’Epifania del Signore, per un’antichissima tradizione, vengono resi pubblici dopo il canto del Vangelo, la data del giorno della Pasqua e le conseguenti festività (a data variabile) del nuovo Anno del Signore. È ragionevole pensare che questa tradizione rituale sia nata nell’antichità perché solo pochi eruditi erano in grado di calcolare astronomicamente ed esattamente le date mobili delle festività, legate ai cicli solari e lunari. Va notato, inoltre, che a quel tempo non erano a disposizione di tutti i calendari, strumento per noi oggi scontato e universalmente diffuso.
L’uso più antico di calcolare e redigere ogni anno un calendario liturgico è attestato ad Alessandria d’Egitto, notoriamente stimata per gli studi astronomici; il Patriarca di questa gloriosa chiesa d’Africa fu incaricato dal Concilio di Nicea (325) di inviare a tutta la cristianità di allora le cosiddette Lettere festali, nelle quali si indicava la data della Pasqua; è documentato come san Cirillo di Alessandria (+ 444) notificasse (Prologus paschalis 2, PG 77, 385) ogni anno al Papa di Roma il calcolo della data della Pasqua perché Roma, a sua volta, la trasmettesse a tutte le Chiese. Dal V secolo questo annunzio della data della Pasqua e delle altre feste mobili si celebrava in Africa e in Spagna nella messa del giorno di Natale. In Gallia, in Italia, ad Aquileja, a Milano e a Roma si faceva, invece, il giorno dell’Epifania. Con il Pontificale Romanum tridentino si introdusse il canto del Noveritis (come recitava l’incipit dell’annunzio del giorno di Pasqua: «Noveritis, fratres carissimi»… «Sappiate, fratelli carissimi»), confluito poi nel Messale Romano del Concilio Vaticano II.
L’attuale prassi celebrativa dell’Annuntiatio Paschæ festorumque mobilium [l’Annunzio della Pasqua e delle feste mobili (dipendenti dalla data della Pasqua)], attingendo da questa millenaria tradizione liturgica, ha naturalmente sfumato l’esigenza di trasmettere a tutte le Chiese il computo astronomico delle date delle feste mobili del calendario liturgico, evidenziando invece come la piena manifestazione (cioè l’Epifania) di Gesù Cristo, come Verbo di Dio e Salvatore del mondo, adombrata nella sua Epifania ai santi Magi, si sveli e si realizzi pienamente con la sua Pasqua di morte, sepoltura e risurrezione. Per questo, il canto dell’Annunzio della Pasqua, descrive – con un bellissimo testo poetico – il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, come centro di tutto l’anno liturgico che culmina nella domenica di Pasqua. La piena rivelazione della salvezza, realizzatasi nella Pasqua, si estende quindi a ogni domenica dell’anno liturgico, «Pasqua della settimana», ed è presente e adombrata in ogni celebrazione della Madre di Dio e dei Santi, che sono nella Chiesa il riflesso di quell’unico mistero pasquale.
INDICAZIONI CELEBRATIVE PER L’EPIFANIA DEL SIGNORE
Secondo la consuetudine, l’annunzio del giorno di Pasqua e delle altre feste viene fatto durante la celebrazioni eucaristiche dell’Epifania del Signore, all’ambone da un diacono, o in sua assenza dal presbitero o da un cantore, debitamente preparati, al termine della celebrazione e proclamazione del Vangelo. È bene che sia cantato di modo che il testo viene così elevato a vero e proprio elemento rituale, acquista una risonanza molto più ampia rispetto a quella di una semplice lettura. La proposta che qui viene fatta (nel PDF allegato), ben adattata al testo italiano, suggerisce una possibilità di canto sostenuto e accompagnato dal suono dell’organo a canne.
don Gianandrea Di Donna, direttore Ufficio diocesano per la Liturgia
Scarica il pdf: Annuncio del giorno di Pasqua 2019