Un marito che se ne va di casa il giorno dopo aver comunicato alla moglie di essersi innamorato di un’altra donna, un altro che legge i messaggi del cellulare della moglie e scopre che lei ha una relazione con un collega di lavoro, un’altra che fa seguire gli spostamenti del marito da un investigatore privato per vedere se la tradisce. Fatti di questo tipo, fino a qualche anno venivano raccontati soltanto in qualche film: oggi sono ormai normali per tante storie di coppia che fanno in frantumi, anche da parte di coppie cresciute in parrocchia. Il conflitto ha oggi una forza dirompente, capace di far compiere scelte e gesti distruttivi. Oggi siamo molto centrati su quanto proviamo nel presente e diamo al vissuto del momento un valore assoluto, così un fatto ha la forza di far girare pagina rispetto a un’esperienza di fede lunga cinquant’anni, a una relazione di coppia costruita in trent’anni, a una famiglia realizzata dopo tanta attesa e fedeltà. Fatichiamo a gestire i pensieri e le emozioni, ad usare pazienza con noi stessi e con gli altri, a coltivare la virtù della speranza che fa rimanere fermi sulle scelte compiute nella calma. È come se il cuore fosse sproporzionato rispetto ad altre parti della persona, della mente che pensa, della volontà personale, del corpo, delle relazioni con gli altri e con la realtà. Ma la nostra persona vive di tutte queste dimensioni armonizzate tra loro, dentro una storia che non è soltanto una serie di fatti capitati nel passato, ma parte viva della nostra vita. Come al tempo di Sant’Ignazio di Loyola vale ancora la regola capace di mettere insieme vari aspetti della nostra umanità: “Nel tempo della desolazione non bisogna mai fare cambiamenti, ma rimanere saldi e costanti nei propositi e nella decisione in cui si era nel giorno precedente a quella desolazione, o nella decisione in cui si era nella consolazione precedente” (Regola 5, Esercizi spirituali, n. 318). Soprattutto vale l’indicazione: “Chi si trova nella desolazione, consideri… l’aiuto di Dio che gli rimane sempre, anche se non lo sente chiaramente” (Regola 7, Esercizi spirituali, n. 320).
Frasi come quelle riportate all’inizio, mettono in discussione la cultura in cui viviamo, ma soprattutto ci provocano a verificare lo stile della formazione delle nostre comunità, le attività condivise coi ragazzi, i giovani e gli adulti, la predicazione nella liturgia, la testimonianza personale. Ci è chiesto di promuovere vere e proprie esperienze educative e non solo di promuovere incontri, avendo chiare le finalità e scegliendo bene gli strumenti, nella certezza che “non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose” (Francesco, Amoris laetitia, 207). Fra tutte, non possiamo rinunciare a promuovere una vera educazione all’affettività, ossia condividere esperienze che aiutino a leggere il vissuto, a comprenderlo ed esprimerlo in armonia con il proprio orizzonte di vita, in sintonia con il Signore, Dio e uomo pienamente realizzato nel dono di sé. La realtà ci domanda di non oscurare o annacquare la forza del Vangelo e la presenza di Gesù, riconoscendo la sua centralità in tutto ciò che viviamo e comunicando, senza paura di essere attaccati, ciò che realizza pienamente la persona, smascherando invece ciò che la svaluta e non le permette di fare il vero bene. Per noi, molto presi dal momento, c’è un esercizio particolarmente utile e congeniale da compiere: il discernimento. Tutto il nostro vissuto, spesso confuso e aggrovigliato, può essere guardato in compagnia del Signore, cercando, alla luce della sua Parola, di distinguere ciò che viene da lui e ciò che viene invece dal Maligno o dal semplice buon senso. Dentro al vissuto vi sono i segni di un percorso di bene a cui il Signore ci chiama e per il quale lui si è già impegnato con noi. Fermarci, entrare nella nostra coscienza e ascoltare il Signore è il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi e alle persone che fanno parte della nostra vita ogniqualvolta sperimentiamo incomprensioni, errori, conflitti e peccati, per ripartire senza paura di vivere, desiderosi soltanto di rinnovare la creatività nel bene.