Cercano il paradiso. E lo fanno mettendosi in viaggio su barconi, sfidando il mare e l’incognita di un futuro. Alcuni hanno la fortuna di incontrare volti e parole che sono capaci di dare un senso a una nuova esistenza. Come al dolore dell’abbandonare le proprie radici. Ma il percorso non è affatto semplice o sereno.
La singolare e straordinaria esperienza di un gruppo di migranti è riuscita anche a varcare il palco della quinta edizione del Web marketing festival, che si è tenuto a Rimini il 23 e 24 giugno scorsi: una piazza reale dove professionisti, studenti e aziende svelano, approfondiscono e affrontano alcune importanti sfide sociali e digitali del presente. Ma soprattutto del futuro.
Tra gli ospiti d’eccezione anche la compagnia teatrale La Baraonda, composta da migranti, che ha offerto un breve spaccato di un proprio spettacolo, nonché la visione di un video dal titolo appunto “Heaven” (Paradiso).
Spettacolo e video sono stati coordinati e allestiti da Martino Lo Cascio, psicologo e psicoterapeuta palermitano che si occupa di teatro e cinema anche come autore. E che ha scelto di regalare al sito della diocesi di Padova una breve clip con stralci del video e dello spettacolo.
«L’idea di utilizzare il teatro con i migranti mi è nata 3-4 anni fa in maniera autonoma – racconta – Da autodidatta ho deciso di attaccare per Palermo dei volantini in cui lanciavo un laboratorio gratuito di teatro per migranti e rifugiati. Il primo anno su loro richiesta abbiamo prodotto una performance finale dal titolo Baraonda, che ha poi dato nome alla compagnia. L’anno successivo abbiamo fondato l’associazione Nottedoro (www.nottedoro.org) e ideato uno spettacolo “Vade retro. La riscossa dei poveri diavoli” in cui si intreccia la storia di chi arriva sulle nostre spiagge con la storia di San Benedetto Moro, anche lui migrante».
Lo spettacolo vive di due anime: la rappresentazione scenica è infatti intervallata da proposte di brevi corti che rappresentano punti di interconnessione e di scambio all’interno della storia. Tra questi fondamentale il corto “Heaven”.
«Tre le figure di riferimento nel corto: un gruppo di migranti su una barca, Gesù e San Benedetto il Moro, un santo palermitano migrante appunto. Ci è piaciuto inquadrare la storia del Cristo e del santo all’interno di una storia di accoglienza che parla di integrazione, fratellanza e solidarietà. Se riuscissimo a guardare sotto quest’ottica gli eventi quotidiani lungo le nostre coste tutto ci apparirebbe diverso. Il titolo Heaven è preso da un brano dei Depeche mode: per me il paradiso è qualcosa che può essere sì al di là della fisica ma traduce anche la possibilità di tendere a un paradiso in terra! C’è quindi un’ambivalenza nel termine che il video sostiene e rafforza. Quando stanno per arrivare sulla costa i migranti dalla barca vedono la scritta Heaven: quello che per loro rappresenta il luogo del riscatto, della possibilità di ridiventare persona non si rivelerà tale. È davvero necessario, quindi, ed è questo uno dei messaggi del video, che su quella spiaggia si faccia qualcosa di significativo e valoriale affinché non si riproducano più altre morti e crocifissioni».
Sulla spiaggia i migranti vivono la via crucis di Gesù, con la sua crocifissione, come la morte di San Benedetto per malattia, ma è proprio insieme a Gesù che condividono l’ultima cena. «È una storia che si ripete – sottolinea Lo Cascio – Abbiamo un Gesù che viene tradito e uomini che vengono traditi, ogni giorno, da altri uomini e fratelli, gli scafisti stessi che per soldi vendono vite umane. Nel corto la meraviglia della metafora dà senso a questa storia. Però i migranti abbracciano questa Parola che arriva da Gesù e da San Benedetto e abbracciandola resuscitano, hanno un’altra possibilità. Quindi da sacchi neri sparsi nel mare, rifiuti umani, ritornano persone con una loro dignità e prospettiva. Si rivelano come sono: nostri fratelli e sorelle».
Molti dei ragazzi, coinvolti come attori nel video sono cristiani, a differenza di quelli che recitano sul palco. «Il teatro è il luogo dove è possibile comporre e far dialogare le diversità – sottolinea l’autore – nonostante le differenze molto forti. Lo stiamo sperimentando in questi anni come laboratorio di convivenza e coesistenza di lingue diverse come di schemi culturali distanti. È interessante vedere anche come arrivino nel palco rigidi, quasi paralizzati: hanno attraversato vari inferni e lo si vede e si tocca con mano. Ma nonostante i conflitti e le fatiche si respira da parte di tutti la spinta e la voglia a farcela».
Ogni laboratorio può essere frequentato al massimo da 15 persone. «Tutti, più o meno, arrivano alla fine, anche se alcuni, per una propria forma di pudore e ritrosia, scelgono di non comparire nella performance – conclude Lo Cascio – In questo momento come associazione stiamo anche collaborando con il progetto europeo REact, tramite il centro Danilo Dolci, sull’inclusione nel mondo del lavoro attraverso il teatro. Possiamo quindi dire che il palcoscenico si sta rivelando un’esperienza strana e inaspettata che sta creando davvero tante connessioni».
Claudia Belleffi