Carissimi fratelli e sorelle,
mi è caro mantenere questo appuntamento estivo e in compagnia dell’insegnamento di san Benedetto leggere e orientare alcune nostre scelte, convinto che sempre la storia e anche questo presente ci chiedono il coraggio della verità evangelica per comprendere con intelligenza la realtà, rispettandone la complessità; per ascoltarne i quesiti vitali e ricercare soluzioni generative di bene.
In questi ultimi mesi siamo stati fortemente provati dalla pandemia: qualcuno di noi è stato privato di persone care, alcuni hanno sofferto per la malattia, altri hanno vissuto il disagio nell’accesso ai servizi, tanti si sono sobbarcati immani fatiche lavorative e molti sono rimasti a casa. Incombe l’incognita sulla continuità occupazionale e molti sono già senza lavoro. In tutti noi, anche nei più giovani, si sono impressi i segni dell’isolamento. L’emergenza sanitaria ha segnato e continua a segnare ciascuno, le nostre comunità, i nostri Paesi, la nostra Europa, il nostro mondo.
L’incertezza è insita nel domani, ma quella che stiamo sperimentando lascia sospesa la progettualità e fa risaltare la drammaticità delle disuguaglianze economiche e sociali, che mortificano la dignità delle persone e delle popolazioni.
Disparità che contengono i germi dello scontro sociale e dell’odio.
Non è sostenibile una comunità che si regge sulle disuguaglianze, tanto meno lo sono un Paese, un Continente, o addirittura le relazioni tra Nazioni.
Eppure durante la pandemia, e anche in questo tempo di ripresa, notiamo come spesso i criteri politici per far fronte alle emergenze siano offuscati dall’idea che salvarsi è possibile da soli o in pochi. Questa distorsione su cui si regge il sistema economico e finanziario mondiale, e che semina ingiustizie, assurge paradossalmente a modello di risoluzione della ripartenza. E trova il favore di una mentalità diffusa secondo cui c’è qualcuno che ha maggior merito di vivere rispetto ad altri e di farlo nell’agiatezza. Privilegi, che ci piace chiamare meriti, e che solo l’immobilismo sociale può garantire. Nell’emergenza, compensare le disuguaglianze per mezzo di sussidi è una necessità, ma se tale modalità diviene strutturale si impedisce il cambiamento dei processi di formazione della ricchezza e degli equilibri di potere.
Il criterio politico assunto da alcuni Stati di non attivare sistemi di contenimento del contagio; la ritrosia dell’Unione europea ad assumere una responsabilità collettiva al finanziamento della ripresa e l’astiosità nei rapporti della politica internazionale mostrano tutta la fatica nel comprendere i vantaggi della cooperazione nel pieno rispetto della dignità delle parti e per il raggiungimento del bene di tutti.
Auspichiamo che l’amicizia politica e la concordia internazionale possano essere invece i beni supremi in cui le nazioni credono e sono pronte a impegnarsi. Abbiamo bisogno di una leadership globale che possa ricostruire legami di unità evitando ogni forma di egoismo.
Ci indigna constatare che in questo tempo, in cui i poveri, i malati, gli emarginati, i morti a causa della pandemia neppure si riescono a contare, i governi stiano destinando somme senza precedenti alle spese militari.
La produzione e vendita di armi, gli investimenti nei programmi di modernizzazione nucleare non sono una promessa di pace, bensì una garanzia di guerra. La comunità internazionale non può negare l’evidenza che la pace non si riduce a una questione di sicurezza nazionale.
La pace ha un’imprescindibile dimensione positiva che va coltivata nel dialogo rispettoso della dignità di ciascuno, nell’unità per il bene comune, nella giustizia senza sconti.
Nel nostro Paese patiamo le funeste conseguenze del lavoro precario e irregolare, la mancanza di margini di risparmio per reggere anche poco tempo senza entrate, le forti disuguaglianze territoriali, dalla copertura digitale, all’istruzione, alle cure sanitarie, alla mobilità.
Le disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi fondamentali, e ancor prima nel diritto alla vita stessa; la mortificazione della dignità e dell’autonomia del lavoro soprattutto per le donne e per i giovani; la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi – e sempre meno – soggetti; il mancato riconoscimento e rispetto di chi non esercita potere (in Italia come in Europa e ancor più su scala mondiale) sono fonte di una dinamica autoritaria, che si esprime in rabbia e risentimento, in sfiducia delle istituzioni e nella domanda di autorità repressive. Non è con la mentalità dei privilegi, bensì dell’equità; non è con la modalità della prevaricazione, bensì della collaborazione che l’Europa potrà progredire ed essere fucina di innovazione sociale e artefice di pace nelle relazioni internazionali.
Noi cristiani per primi abbiamo il compito di lavorare alla rimozione delle disuguaglianze e insieme alla diffusione di una mentalità fraterna.
Non possiamo restare indifferenti di fronte a progettualità economiche e sociali che ci portano all’accettazione e alla giustificazione della disuguaglianza e dell’indegnità. È nostro compito, di ciascuno e di tutti, affermare l’opzione preferenziale degli ultimi, anche nelle scelte di ogni giorno, affinché lo sviluppo sia reale e sostenibile per tutti e attuato attraverso la cooperazione e il lavoro di tutti nel rispetto e nella valorizzazione delle potenzialità di ogni soggetto, comunità, territorio, istituzione.
Come Chiesa di Padova desideriamo rafforzare il nostro impegno al riscatto sociale, mettendoci a fianco dei poveri perché divengano attori sociali; presidiamo le marginalità affinché esprimano le risorse di resilienza; sosteniamo l’attivismo civico quale co-attore del welfare sociale.
Preghiamo san Benedetto, patrono d’Europa, affinché ci custodisca con la sua protezione e ci ispiri audacia e creatività nel progettare un futuro di pace.
+ Claudio Cipolla,
vescovo di Padova
in comunione con
Giulio Pagnoni osb, abate di Santa Giustina
Stefano Visintin osb, abate di Praglia
San Benedetto, 11 luglio 2020