Una settimana al campo Caritas a Norcia, sui luoghi del terremoto dello scorso anno. Da domenica 18 a sabato 24 giugno don Paolo Zaramella, referente diocesano del Sinodo dei giovani, si è speso in prima persona toccando con mano fatiche, dolori ma anche speranze di una terra ferita.
«Una settimana non è niente, corre via veloce – racconta – ma è tanto quello che si porta a casa. Quest’esperienza in primo luogo mi ha insegnato a non pensare secondo logiche programmatiche e “aziendali” ma semplicemente ad esserci, con tutto me stesso, con la mia presenza di uomo e di prete, condividendo con la gente del posto il tempo del lavoro e del riposo, dei pasti e della pausa caffè, accogliendo qualche confidenza, pregando e celebrando insieme, a volte piangendo di fronte ai racconti drammatici delle due scosse, di agosto e soprattutto di ottobre».
Don Zaramella ha condiviso l’intera settimana con Francesca e Rinaldo, una giovane coppia di sposi che gestisce il campo Caritas, e don Marco, il parroco di Norcia (e dintorni). «Da loro ho imparato la bellezza di una pastorale e di una testimonianza cristiana “a tre: la preghiera insieme, la vita condivisa prima in due container e ora in una casetta di legno, il confronto sul da farsi e sulle decisioni da prendere: una bella immagine di Chiesa!».
E non poteva mancare il contatto con la realtà giovanile: è stato infatti coinvolto in un campo con 30 adolescenti del liceo classico Mariotti di Perugia, che hanno scelto di vivere quest’esperienza sollecitati dalla visione e dal confronto di un filmato di 50 anni fa che proponeva quanto accaduto a Firenze con l’alluvione e in particolare l’impegno di tanti ragazzi che si sono rimboccati le maniche per spalare fango.
La domanda quindi che i liceali si sono posti è stata “Cosa possiamo fare noi?”. La risposta: partecipare al campo. «Le “regole di ingaggio” sono state diverse da quelle di un campo parrocchiale – aggiunge don Zaramella – all’inizio eravamo perfetti sconosciuti, forse anche con qualche pregiudizio o sentimenti di distanza nei confronti di un “don”. Mi sono allora messo in gioco in gioco su un piano umano, cercando di creare ponti mentre si mangiava, durante le ore di lavoro o in tenda prima di andare a dormire. E mi sono sorpreso a scoprire una stima, un affetto, una vicinanza a volte impensate anche con i ragazzi che normalmente frequentano le nostre parrocchie, semplicemente perché c’ero stato a faticare con loro, perché avevamo camminato fianco a fianco. Posso davvero afferma che questa settimana è stata un’esperienza indimenticabile, per cui ringrazio don Luca Facco e don Marco Cagol di avermela proposta. E un invito: mettetela in agenda, se potete, per voi, per le vostre parrocchie, per i gruppi di adolescenti o di giovani, per i gruppi famiglie».
Anche nei giovani liceali la settimana ha lasciato un segno indelebile. «Cercavo un’esperienza che mi facesse maturare, volevo sentirmi utile – racconta Livia Balducci, 18 anni – Cercavo il terremoto ma l’ho trovato dentro di me. Ho aiutato dei pastori la cui casa era crollata. La loro situazione era di bisogno ma erano comunque pieni di fiducia e di speranza e quando sono andata via i loro occhi brillavano di gratitudine non per quel poco che avevamo fatto ma semplicemente perché non si erano sentiti soli».
Per Sofia Zaffera, 18 anni, l’aver sentito il 30 ottobre scorso le scosse a casa propria è stato di sprone all’impegno estivo. «Quella mattina, dopo essere uscita fuori di corsa – ricorda – ho guardato la mia casa e per un istante, interminabile, ho creduto che fosse crollata: erano le mie sicurezze che erano andate in frantumi. Dopo essermi ripresa dallo shock, il pensiero è andato alle persone colpite dal terremoto: gli occhi mi si riempivano di lacrime di fronte alle immagini di luoghi che avevo visitato e che sentivo come casa. La loro paura era mia paura, il loro dolore il mio dolore. Sarei voluta partire subito, offrendo il mio cuore e mie mani a quelle persone che sentivo miei fratelli. E i fratelli non si abbandonano. Ho colto la palla al balzo lo scorso 19 giugno, qui al campo Caritas di Norcia. Avevo il mio bagaglio carico della mia esperienza di giochi, attività estive, campi e ritiri da offrire ai bambini che avrei incontrato, In realtà più che fare qualcosa per gli altri, sono stati loro a fare molto di più per me. Sono stata accolta con tanti sorrisi e loro, senza casa, mi hanno fatto sentire a casa. Abbiamo un sogno: vedere Norcia e i Nursini rialzarsi!».
E Clara Borghesi, 17 anni, conclude: «Andando via dal campo Caritas avevo la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa. Mi sono messa a controllare dentro le valigie ma… nulla, sembrava esserci tutto. Solo dopo ho capito cosa non andava: a Norcia avevo lasciato il cuore!».
Claudia Belleffi