Pluralismo religioso, secolarizzazione, dialogo, ecumenismo. Introduciamo la settimana di preghiera dell’unità dei cristiani con una riflessione, guidata da don Giovanni Brusegan, delegato per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della diocesi di Padova.
«L’ecumenismo oggi vive di una premessa fondamentale – sottolinea – È l’acquisizione che ha fatto l’uomo contemporaneo del luogo e momento in cui si trova a vivere, cioè della storia e dei processi e progressi scientifici, delle sfide e domande che interpellano un modello di Chiesa e una proposta dottrinale di fede in chiave inedita. Per descrivere questa condizione attuale si parla di post-modernità e post secolarizzazione rispetto al passato. Negli ultimi 40 anni si sono presentate alcune caratteristiche che danno priorità diverse al cristianesimo e alle fedi».
Due gli aspetti da valutare.
- La storia
Si è manifestato un ritorno delle religioni sullo scenario mondiale. Di fronte a questo la secolarizzazione, il prodotto interpretativo della scuola filosofica europea che si è rivelato carente, non hanno saputo leggere e dialogare con l’affacciarsi dell’islam, di buddismo, induismo e di etnie e di popoli che non facevano i conti con la secolarizzazione , e affermavano la religiosità della persona umana. «Questo cambiamento dello scenario religioso ha trovato molte resistenze, modelli di testimonianza e impostazioni diverse.
Il passaggio doloroso è stato dato dalla caduta delle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001: qui ci si è resi conto che non solo esistevano le religioni ed esigevano di essere rispettate, ma si ponevano con modalità dialettiche e pesantemente antagoniste. Le religioni, possiamo dire, sono entrate ed entrano nell’agone mondiale».
- Il pluralismo religioso
Secondo aspetto da valutare è il pluralismo religioso. «Non c’è solo il ritorno delle religioni con la valutazione delle loro identità e “pericolosità” nei fronti dell’Occidente ma non c’è più una sola fede che può imporre o veicolare una civiltà, quella occidentale, da espandere, nella quale convivono più religioni, diversi tipi di credenze con diritto a una relazione rispettosa. Tutto ciò mette in crisi le identità bigotte e non preparate, chiede autocoscienza e adesione a un cammino di fede».
C’è una fatica che oggi non può lasciar dormire né i credenti né le fedi. «È quella di capire dove si vive! Conoscere l’altro significa da un lato non interpretare ciò che accade con un vocabolario di un’altra epoca, dall’altro non perdere la propria identità in chiave irenista, quindi del “vogliamoci tutti bene”, ma recuperare come crescita, processo, movimento di una fede che esige un cammino. Un cammino che valorizza la relazione col Signore, mette al centro il desiderio di felicità e tenerezza delle persone, educa alla bellezza dell’altro come fratello, della recezione dell’altro come fratello, e ha una prospettiva di bene comune».
Entriamo quindi dentro a due termini: ecumenismo e dialogo
Deriva dal greco OIKUMENE, “casa comune” o “terra abitata”, è analogo al termine “cattolico” che nel corso dei secoli quanto più le nostre chiese si sono divise, tanto più ha perso la valenza semantica originale. L’ecumenismo è una scoperta recente nella storia della Chiesa come concetto, pur essendo un vocabolo antico che troviamo anche in san Matteo nel suo vangelo “… annunciate a tutta l’ecumene”.
Una data per tutte: il 1910
Nel 1910 le istanze missionarie giovanili, dopo aver fatto i conti con il proselitismo dell’annuncio da parte delle varie Chiese, che si incontravano, scontrandosi nelle terre lontane, hanno provocato ad Edimburgo una riscoperta della Parola di Gesù, in particolare quel “che tutti siano uno” e “da questo conosceranno che siete mie discepoli” come statuto inderogabile dell’annuncio cristiano. Rispetto alla guerre di religione si era comunque arrivati a un’apologetica e polemica che svalutava l’altro nuocendo al progresso della fede cristiana. Dal 1910 nasce, quindi, il movimento ecumenico che coinvolse i protestanti, gli anglicani e gli ortodossi trovando reazione nella gerarchia cattolica che ritenendosi già in possesso dell’unità totale, non concepiva l’ecumenismo che sembrava ledere la verità e l’esperienza totale del cattolicesimo e rivendicava un atteggiamento di conversione alla Chiesa cattolica. Con uno sguardo benevolente ma rivendicando dottrina e atteggiamento del ritorno a Roma.
Il Concilio Vaticano II
Solo con il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica passa da un atteggiamento negativo a un atteggiamento di recupero della dimensione ecumenica quale insopprimibile e urgente per le Chiese cristiane. I vari documenti segnalano aspetti ecumenici, ad esempio nel recupero del valore della Parola rispetto al cattolicesimo sacramentale ha significato riedificare il modello di Chiesa e liturgia che recuperava il mezzo verbale, la Bibbia scritta, l’interpretazione del dato rivelato accompagno i fedeli da una forma solo celebrativa a una forma attuativa, significativa.
La costituzione Lumen Gentium ha fatto uscire da un’ecclesiologia istituzionale giuridic a verso un’ecclesiologia di comunione in cui prioritariamente la Chiesa è stata colta all’interno della storia di salvezza come frutto dell’amore del Padre attraverso il Figlio nel continuo soffio dello Spirito santo.
La costituzione Gaudium et spes ha introdotto la Chiesa nell’avventura della storia umana, definendo quindi il volto di una chiesa “nel” e “per” il mondo, dove il mondo è soggetto dell’amore di Dio e costutisce la sfida interpretativa e di testimonianza
Due i documenti che hanno fatto dell’ecumenismo quello per cui il Concilio Vaticano II era stato indetto, cioè l’unità dei cristiani:
- il decreto sull’ecumenismo Unitatis reintegratio
Qui il rapporto nuovo con le altre chiese supera una visione intimista ed escludente per una visione in cui non ci sono “scismatici” (gli ortodossi) e eretici (i protestanti), ma fratelli “non in piena comunione”.
- la dichiarazione Nostra Aetate
Qui si “fa i conti” con le altre religioni cristiane e non, la religiosità dell’uomo e le altre fedi, muovendo una teologia delle religioni che ha aperto orizzonti e fatiche inedite per la teologia e pastorale cattolica.
Durante il Vaticano II papa Paolo VI, succeduto a Giovanni XXIIImo, sottolinea l’esigenza di promulgare un documento indicativo del nuovo stile che doveva essere assunto dalla chiesa cattolica mondiale.
Nel 1964 scrive e rende pubblica quindi l’enciclica Ecclesiam suam. Dove l’appello forte è a una Chiesa che deve farsi colloquio.
«Viene quindi elaborata una dottrina del dialogo/colloquio riferendolo agli ambiti del mondo cattolico: battezzati e con le religioni, distinguendo l’ebraismo, la religione-radice, rispetto al cristianesimo, e le religioni monoteiste come l’Islam, senza svalutare altre religioni come buddismo e induismo alla luce di una riscoperta dell’alterità come valore e dell’uomo in quanto tale come creatura amata da Dio.
Il dialogo interculturale è rivolto anche ai non credenti e a chi non aderisce a un cammino religioso a 360 gradi: è un dialogo che reagisce al monologo fondamentalista esclusivista e alla paura dell’altro. Il dialogo è: conoscere l’altro e interagire in un contesto di fiducia reciproca nel rispetto dell’altro, della sua identità, di valori e credenze in un processo non omologante ma avvalorante. Il mondo è quindi l’orizzonte dell’impegno comune delle religioni. Il dialogo dev’essere chiaro: non va nascosto quello che si crede, va espresso in modo che l’altro senta il tuo cuore e colga la verità che ti fa vivo, esige l’incontro non solo dei grandi, è feriale, chiede un incontrarsi nella vita. Il confronto aiuta a riscoprire il senso e la bellezza dell’adesione alla propria fede, conoscendo l’animo e facendolo conoscere all’altro».
Claudia Belleffi