Mons. Sante Babolin era nato a Rio di Ponte S. Nicolò (PD) il 28 maggio 1936 da Emilio ed Erminia Nicoletto, in una famiglia che comprendeva sette tra figli e figlie. Ordinato prete l’8 luglio 1962, era subito stato inviato a Roma come studente di Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana.
«Uscito di seminario sognavo il ministero in parrocchia; non fu così e ne soffersi molto. Mi è voluto un anno di tempo (nostalgia e lacrime) per rassegnarmi alla vita di studente; vita che durò quattro anni, gli anni del Concilio Vaticano Secondo».
Nel 1965, ospite del Seminario parigino di Saint Sulpice, aveva continuato gli studi alla Sorbona e all’Institut Catholique di Parigi, approfondendo la figura e i manoscritti inediti di Maurice Blondel, sia a Parigi (presso la figlia, Elizabeth Flory), che a Lovanio (Archives de Maurice Blondel).
«L’estetica, filosofia della materia, dell’arte e della bellezza, era concepita da Blondel come propedeutica alla cristologia; me ne innamorai e il mio cammino di studioso e docente fu segnato».
Dal 1966 e fino al 1972 aveva insegnato filosofia presso il Seminario Maggiore di Padova. Socio fondatore, insieme con Gustavo Bontadini, Cornelio Fabro, Gianluigi Brena ed altri, dell’Associazione Docenti Italiani di Filosofia, ne fu Segretario nazionale dal 1969 al 1976.
Nel 1969 don Sante aveva partecipato alla nascita di una fraternità presbiterale di vita contemplativa che, con l’apertura ai laici, sarebbe poi diventata la Comunità del Cantico.
«Desideriamo offrire, all’interno del presbiterio e in comunione con la Gerarchia, una testimonianza accentuata di vita interiore e verticale e di indicare una via, che riteniamo valida, nella quale qualsiasi presbitero potrà soddisfare le esigenze che gli vengono dal suo sacerdozio» (1971).
«(La Comunità del Cantico) È una comunità di fede e si pone come una concreta attuazione dell’adesione personale e incondizionata a Gesù Cristo, nell’ascolto quotidiano della parola di Dio, nella fedeltà assoluta alla Tradizione viva della Chiesa, nell’attenzione accorta alle ispirazioni dello Spirito Santo e ai “segni dei tempi”». (1982) Espressione del percorso della Comunità fu il testo di don Sante Erano un cuor solo (Àncora, 1980).
Nel dicembre 1972 aveva conseguito il dottorato alla Gregoriana (Summa cum laude), cui era seguita nel 1974 la pubblicazione della tesi dal titolo: L’estetica di M. Blondel: una scienza normativa della sensibilità con estratti dei manoscritti sull’estetica di M. Blondel (Analecta Gregoriana, 195). Nel 1973 aveva iniziato la docenza presso la stessa Università romana con incarico annuale (1973-1982), poi come professore aggiunto, come docente straordinario (1992) e, da ultimo, quale docente ordinario nella facoltà di Filosofia (1995), per la cattedra di “Filosofia della Cultura” (nel primo ciclo), “Estetica” e “Semiotica” (nel secondo ciclo). Nel 1975 aveva nel frattempo conseguito un’altra Laurea in Filosofia presso l’Università di Padova, con la tesi Il pensiero filosofico religioso di Antonio Fogazzaro. In quanto insegnante e divulgatore, don Sante organizzò o partecipò a convegni, colloqui e simposi di filosofia e teologia in Italia e all’estero, dandosi alla pubblicazione di articoli per le riviste del settore. Gli anni di Roma sono stati fecondi per altre collaborazioni: nel 1974, giovane insegnante alla Gregoriana, aveva incontrato il Rinnovamento nello Spirito Santo, da cui si sarebbe allontanato successivamente, ma ebbe anche la possibilità di contribuire all’elaborazione della Ratio Studiorum, pubblicata dalla Congregazione dell’Educazione Cattolica, acquisendo familiarità con l’allora Prefetto, il card. Gabriel-Marie Garrone, il cui ruolo fu determinante nel 1973 per l’inserimento alla Gregoriana.
A partire dal 1998 vi sono state periodiche collaborazioni con la Universidad Pontificia de México, quale professore invitato e con l’Instituto Superior de Estudios Eclesiasticos. Del 2012, ad esempio, è il Corso dal titolo: Mistero della Redenzione e ministero della consolazione. Non mancò, mai, tuttavia, in don Sante la disponibilità all’accompagnamento spirituale di presbiteri, religiosi e laici, nelle diverse forme fosse richiesto.
«Altra piccola attività, in margine, è stata la mia collaborazione con la Santa Sede in due momenti pontifici (una esortazione apostolica ed una enciclica) e nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa per il capitolo sesto sul lavoro umano. Da qui, la mia nomina a Cappellano di Sua Santità (2000)».
Dal 2007 al 2013 don Sante era stato Presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia. Terminato il servizio romano tornò a Padova.
«Attualmente faccio quello che avevo sognato di fare subito dopo l’ordinazione sacerdotale, ma in modo del tutto impensato».
Dal Vescovo A. Mattiazzo aveva ricevuto il ministero dell’accoglienza delle persone con disagi dell’anima e l’incarico di esorcista diocesano, diventando nel tempo il coordinatore degli esorcisti: incarico cui aveva rinunciato nel dicembre 2019. Don Sante ricordava che tale ministero, accettato per pura obbedienza, lo aveva toccato nel profondo, essendo divenuto occasione di preghiera, di unione con Gesù, di dedizione a tante persone e alle loro grandi sofferenze interiori, rivelandosi, quindi, una grazia.
«Questa è la volontà di Dio per me, non posso dubitare, e voglio compierla fino in fondo ad ogni costo, perché “la grazia vale più della vita”».
Don Sante aveva una intelligenza superiore, capace di concepire ed esprimere pensieri originali e avvincenti sia nell’ambito filosofico che in quello teologico. Il suo parlare non cadeva nel banale o nel già detto, ma diventava originale e avvincente. Quando si trovava ad affrontare un argomento di studio o ad iniziare un’opera, si appassionava e si spendeva parlandone in continuazione, con entusiasmo contagioso.
Inevitabilmente la passione per la verità era divenuta la proclamazione della fede in Gesù, nonostante i diversi e legittimi percorsi del sapere. Per don Sante, Gesù era l’espressione più compiuta della verità con la quale lo stesso pensiero razionale doveva fare i conti e, allo stesso tempo, Gesù era la verità cui aderire con tutta la propria persona e il ministero presbiterale, anche accompagnando verso di lui le persone e in particolare i giovani. Da qui il pensiero rigoroso e da qui anche la fedeltà al proprio sacerdozio fino alla fine, l’amore per la Chiesa, la lettura spirituale degli eventi e la proposta di una fraternità che fosse risposta concreta alla fede in Gesù, unico motivo di lode e di benedizione. La sua formazione e la sua sensibilità lo portavano, di conseguenza, ad avere un grande amore per la liturgia, per la Parola di Dio e per le icone, che rendeva occasione di catechesi e di preghiera. Aveva una particolare devozione anche nei confronti di Maria, la madre di Gesù, tanto che nei soggiorni messicani ebbe modo di studiare a fondo le apparizioni di Guadalupe, divulgandone il culto.
«Quando ero professore il mio obiettivo era unire la cattedra (la ragione) con l’altare (la preghiera), senza sovrapporle e ho considerato l’insegnamento come un ministero. Ora che sono sempre ancorato all’altare so di dover continuare a usare la ragione, l’unico strumento che un uomo possiede per esercitare il suo doveroso discernimento» (Intervista ad Avvenire, 30.04.2014, 26).
Questioni di salute avevano portato alla decisione di chiedere l’ospitalità dell’Opera della Provvidenza nel giugno 2021 e all’Opera don Sante è deceduto nel primo mattino di mercoledì 1 febbraio 2023.
A Bosco di Rubano, dove don Sante risiedeva da anni, vi sarà la preghiera del Rosario domenica 5 febbraio, alle ore 19.
Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio nella chiesa dell’OPSA lunedì 6 febbraio, alle ore 10. Terminato il Rito, la salma verrà tumulata nella tomba di famiglia presso il cimitero di Rio di Ponte San Nicolò.
«Può essere che le nostre comunità siano soltanto sepolcri e non culle di vita; e questo accade quando la parola di Dio viene spodestata, quando facciamo più credito alla sapienza umana che all’azione dello Spirito Santo e ci dimentichiamo di guardare al Vivente. Allora “consideriamo, fratelli, la nostra chiamata” (1Cor 1,26) e prendiamo Dio in parola. Cantiamo il trisaghion («tre volte santo») sulle nostre ossa aride e sulle nostre speranze spente e tutto rifiorirà per virtù di Colui che “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16) e “l’abbia in abbondanza” (Gv 10,10)». Celebriamo il Signore, 6/1981, 7.