Ci ha lasciato a mezzogiorno di sabato 27 gennaio all’ospedale Madre Teresa di Calcutta a Schiavonia. Giovedì aveva partecipato alla riunione mensile dei preti del vicariato e durante il pranzo si è sentito male. Portato all’ospedale è stata diagnosticata una devastante emorragia cerebrale, per cui il giorno seguente si constatava la morte cerebrale. In base al suo consenso espresso in antecedenza si è proceduto all’espianto di alcuni organi utilizzabili per un trapianto. Con questo ultimo segno viene evidenziata l’intera vita di don Olivo, vissuta nello stile della disponibilità, con grande discrezione.
Don Olivo era nato a Saletto di Montagnana nel 1941. E’ stato ordinato prete dal vescovo Girolamo nel 1965, l’anno in cui si chiudeva il Concilio Vaticano Secondo. Ha iniziato il suo ministero di cooperatore per pochi mesi a Fellette, successivamente a Mortise (quattro anni), a San Giuseppe (sei anni), Curtarolo (tre anni).
Forse per la sua passione per la montagna, la sua prima nomina di parroco è ai confini della diocesi a Rocca di Arsiè, nel vicariato di Fonzaso, di cui viene nominato anche vicario Foraneo. Vi rimane dal 1979 al 1990, quando il vescovo Antonio lo chiama in pianura come arciprete di Bovolenta. Ancora un decennio di permanenza e lui stesso chiede di cambiare, per un alleggerimento di responsabilità. Così nel 2002 assume la guida di due piccole comunità nella vallata del Brenta: Cismon del Grappa e Primolano. Ha iniziato a rendere abitabili alcune stanze della canonica che il suo predecessore, don Dino Secco, con uno stile di vita poverissimo aveva veramente lasciato andare.
Don Olivo era tendenzialmente timido, ma rifuggiva dai compromessi. Teneva dentro di sè la sofferenza, specialmente quando non riusciva a farsi capire dalle persone e può darsi che le tensioni interne abbiano favorito l’infarto che ebbe a subire.
Nel 2013, aveva 72 anni, chiese prima di andare in pensione, un’ulteriore alleggerimento, e gli fu assegnata la parrocchia di Bresega, da cui si era ritirato allora don Olindo Favaro, morto due mesi fa. Appena tre anni, in cui ha seguito i lavori di restauro della chiesa che ora è ritornata all’originale splendore.
Al compimento dei 75 anni, cedette la responsabilità di parroco e rimase nella stessa canonica come collaboratore dell’unità pastorale che nasceva con Carceri, Ponso e Vighizzolo. Aveva accettato anche l’incarico di penitenziere al santuario delle Grazie ad Este. Aveva conservato l’entusiasmo per le escursioni in montagna. L’ultimo lungo viaggio è stato nel pellegrinaggio della salma di S. Leopoldo in Montenegro, ritornando entusiasta come un bambino.
Gentile, sorridente, sempre puntuale, ordinato, apprensivo, sentiva tutto il disagio degli adempimenti burocratici. Non comune la sua fraternità con gli altri preti, sempre presente agli incontri. A Cismon si era reso disponibile ad ospitare i confratelli per la meditazione sulla parola di Dio della domenica nei tempi forti.
La testimonianza di un prete collaboratore: « La settimana scorsa mi diceva prendendo spunto dalla parabola dei due figli, che si sentiva come il figlio brontolone che dice no ma poi alla fine fa quello che gli è stato chiesto. Era vero. L’ho trovato più volte in chiesa, devoto sulla liturgia delle ore, provando tenerezza. In lui ho fatto esperienza della fragilità dei preti anziani, pieni di fede, di desiderio di continuare, ma come camminando sul ghiaccio… Ho capito in lui che la vita del prete è anche avvolta di un luminoso mistero».
La celebrazione eucaristica di ringraziamento, di suffragio, di commiato sarà celebrata nel suo paese natale, Saletto di Montagnana giovedì 1 febbraio alle ore 10,30, presieduta dal vescovo Claudio. Sarà sepolto accanto ai suoi familiari.