Don Livio Rebuli Pietro di Barbozza
(Valdobbiadene, TV), 11.03.1939 – Sarmeola (Rubano, Pd), 20.04.2024
Don Livio Rebuli, 90 anni, originario di San Pietro di Barbozza (Tv), nato l’11 marzo 1934 è deceduto alle 19 di sabato 20 aprile 2024 all’Opera della Provvidenza.
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Don Livio, figlio di Ovidio ed Emilia Brunoro, era nato a San Pietro di Barbozza l’11 marzo 1934. Il papà Ovidio, già seminarista, aveva dovuto rinunciare al sacerdozio a causa di un problema alla vista che lo avrebbe portato alla cecità, ma poté comunque riversare la sua interiorità nella famiglia cui diede vita in seguito, nella quale sarebbero nate quattro figlie e due figli, divenuti entrambi presbiteri (del 1939 era il fratello Teofano, ordinato nel 1963 e morto d’infarto all’OPSA nel gennaio 2010). Sono ancora viventi le sorelle Dolores e Cecilia.
Ordinato presbitero il 13 luglio 1958, don Livio fu cooperatore prima a Piove di Sacco e dal dicembre 1960 a Lugo di Vicenza. Nell’ottobre 1961 divenne cooperatore festivo a Cervarese Santa Croce e iniziò gli studi in lettere classiche. Famoso già in Seminario per la velocità dell’apprendimento e per la prodigiosa memoria con la quale affrontava le traduzioni dal greco senza vocabolario, all’Università seguì agevolmente gli studi di lettere, fino alla laurea del febbraio 1966 nella quale, con il prof. Alberto Vecchi, ebbe modo di approfondire la retorica di sant’Agostino. Don Livio godeva della fiducia di mons. Alvise Dal Zotto (originario di Valdobbiadene), che lo aveva già avviato all’insegnamento presso il liceo del Seminario di Padova, docenza che sarebbe poi continuata nella nuova sede di Tencarola. In quegli anni don Livio ebbe modo di risiedere presso il CUAMM: godendo della compagnia di don Luigi Mazzucato, stava volentieri con gli studenti, sempre positivo, sereno e allegro. A nome dello stesso don Mazzuccato, per qualche anno poté anche dirigere un gruppo di studenti collocati nella sede del Collegio Presbyterium. Con loro viaggiò in vari luoghi, spirito sempre vigile, pronto all’avventura e alle battute.
Inevitabilmente gran parte del tempo fu dedicato da don Livio all’insegnamento: pur essendo un maestro riconosciuto, non se ne dava l’aria. Preparatissimo nell’insegnamento del latino e soprattutto del greco, svelto nel preparare le lezioni e nel rivedere i compiti, non umiliava gli alunni con la sua competenza, non faceva loro pesare la scuola, non era esigente né si spazientiva per la disciplina o l’impreparazione e non incuteva timore agli alunni (che accompagnava volentieri agli esami di maturità, quando richiesto, aiutandoli e sostenendoli in tutti i modi). Raccontava gli autori e la storia della letteratura latina o greca con linguaggio vivo, con termini attuali e vivaci e continui rimandi alla vita, senza mai venir meno alla sua ben nota arguzia. Di certo don Livio fu allo stesso tempo insegnante e grande intrattenitore.
Poteva leggere Trilussa, «grande maestro di vita saggia» e tradurre Le apologie di Giustino (come successo nel 1983 per le Edizioni Messaggero di Padova). Di grande capacità letteraria, non si mostrò, tuttavia, interessato a continuare sulla strada del lavoro scientifico. All’apparenza «indolente e olimpico», sapeva cogliere sottigliezze e sfumature uniche e originali, tanto che qualcuno lo definì uno sfaticato genio che quando si esprimeva rivelava la sottile eleganza del suo conterraneo mons. Alvise dal Zotto e talora la sensibilità del suo antico predecessore san Venanzio Fortunato. Assieme a don Giovanni Rossin e don Claudio Bellinati tradusse in latino (per l’approvazione del competente Dicastero vaticano) i testi eucologici delle Messe proprie della Chiesa di Padova, libro liturgico pubblicato dal vescovo Filippo Franceschi nell’agosto 1988.
Ebbe modo di animare anche diversi cineforum per i liceali di Tencarola e non solo, mosso dal piacere di leggere in profondità le trame dei film. Nel tempo ebbe modo di prestare servizio festivo a San Domenico, Prozzolo, Calcroci, Sambruson e Bojon. A questi servizi, si aggiunsero quello di assistente della Società San Vincenzo de Paoli di Padova e la direzione diocesana dell’Unione apostolica ciechi.
Nell’autunno 1992 fu nominato parroco a Primolano e ci andò volentieri «come una bandiera sulla torre del castello a guardia dei confini della diocesi». Vi si portava il fine settimana, passando per Carpanè dove il fratello don Teofano era parroco, ma dedicandosi comunque alle incombenze abituali di ogni parroco: visitava le famiglie, andava a trovare gli ammalati, cercava quelli che non andavano in chiesa conquistandoli con la sua cordialità e il buon umore. Aiutava i poveri di passaggio, talvolta invitandoli anche in canonica e preparando per loro da mangiare.
Fu poi inviato come parroco a Feriole, comunità dove si trattenne dal 1998 al 2010. Lasciò scritto nella cronistoria: «Se andrà bene, sarò per una decina d’anni parroco di Santa Maria Regina; se no, chiederò asilo politico a Santa Maria di Praglia». Anche a Feriole, dove era solito «non fare, ma far fare agli altri», lo si poté conoscere come figura schietta, dal sorriso benevolo e malizioso, occhi profondi e luminosi, capace di catechesi immediate ed efficaci.
Fu per alcuni anni rappresentante del vicariato di Teolo presso il Consiglio presbiterale. In quel periodo don Livio fu insignito dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel grado di Cavaliere (dicembre 2006) e di Ufficiale (dicembre 2009).
Dal novembre 2010 si ritirò nella casa paterna e si dedicò a coltivare la vigna come il padre Olivo, pienamente autonomo e resistendo per parecchi anni a quanti lo consigliavano di farsi aiutare. Esercitò l’incarico di collaboratore e penitenziere a San Pietro di Barbozza, Guia San Giacomo e Guia Santo Stefano, fino a quando una caduta lo costrinse a chiedere l’ospitalità dell’OPSA nel 2018. Le persone hanno continuato a voler bene a don Livio, visitandolo anche a Sarmeola, come prima capitava nella sua abitazione.
Del resto ci sono tratti significativi della persona di don Livio che si sono fatti notare ovunque. Di lui resta il ricordo di una persona saggia, libera, con i piedi per terra, lontana da beghe, chiacchiere o giudizi; di una persona poco incline alla tristezza e alla preoccupazione; acuta e pungente, ma senza cattiveria nell’osservare e sostenere le fatiche di tutti. Resta il ricordo di una persona gustosa e non lamentosa, di una persona amabile e capace di spassosa ironia.
L’attualità pastorale e i fatti comuni venivano spesso da lui raccontati attingendo alla cultura e alla teologia, addirittura con espressioni tipiche delle “tragedie greche”, che nulla toglievano all’intelligenza e alla sensibilità pastorale. Nella memoria di molti rimangono scene fantastiche a suon di citazioni latine e italiane applicate alla vita, aneddoti e facezie, in clima di leggerezza, sprizzi di intelligenza, brio e umiltà disarmante. Don Livio aveva il gusto di non drammatizzare: fatiche o problemi venivano sovranamente superati con una battuta, grazie a considerazioni folgoranti che venivano da una memoria vivace e pronta, ma anche da saggezza umana, da sapientia cordis, da una fede semplice e senza complicazioni.
Don Livio era uomo dell’amicizia sincera e della compagnia, delle tante parole e del tanto ascolto, come si poté vedere nelle relazioni con le persone più diverse, con gli amati compagni di ordinazione o con la comunità dei preti del Seminario di Tencarola, dentro la quale fu espressione di generosità, di presenza convinta e di acume.
Aveva il gusto della vita, don Livio, e amava le cose semplici, come il cibo, il lavoro in cucina, l’orto, la vigna, l’andare a funghi e ad erbe (per commentare a lavoro concluso, con san Giovanni della Croce: «Oggi abbiamo fatto un buon raccolto!»). Non amava la ricercatezza e poteva sembrare trasandato (chiamava «la Chiesa dei poveri» la vecchia auto scassata), ma aveva una sua essenzialità che faceva venir meno ogni atteggiamento di superiorità o di possesso.
Proprio all’Opera della Provvidenza la morte ha colto in modo improvviso don Livio attorno alle ore 19 di sabato 20 aprile 2024. Aveva 90 anni.
Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio venerdì 26 aprile, alle ore 10, nella chiesa dell’OPSA. La salma sarà poi accompagnata nel cimitero di San Pietro di Barbozza.
Quando alla fine di una giornata don Livio pregava la Compieta assieme ad altri, poteva capitare che aggiungesse: «Anche oggi il Padre Eterno non avanza più niente». Proprio al Padre della vita affidiamo la persona di don Livio perché ogni cosa sia portata a compimento.