Don Fabio Grossi è tra le braccia del Padre

Le esequie martedì 23 febbraio alle ore 15.30 a Fratte

Se n’è andato nella mattina di sabato 20 febbraio 2021, don Fabio Grossi.

Nato a Este il 1° ottobre 1928, era stato ordinato presbitero il 6 luglio 1952. Fu nominato vicario a Piove di Sacco fino al 1958, quando venne inviato a Livorno. Qui si trattenne fino al 1970, quando fu nominato parroco a Fratte di Santa Giustina in Colle, dopo l’improvvisa e tragica morte del parroco e del giovane cappellano a seguito di un incidente stradale.

Conclusosi il servizio di parroco per motivi di età si era ritirato prima in un appartamento a Fratte, poi a Camposampiero, presso Casa Bonora. La morte lo ha colto nel mattino del 20 febbraio 2021

Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio a Fratte, martedì 23 febbraio, alle ore 15.30.


Don FABIO GROSSI ( Este, 01.10.1928 – Camposampiero, 20.02.2021)

Nel lontano ottobre del 1970, l’allora Vescovo di Padova Mons. Girolamo Bortignon mi mandò a chiamare d’urgenza per darmi la tristissima notizia della morte violenta del parroco don Vittorio Fabris e del suo giovanissimo cappellano don Gaudenzio Bevilacqua. Don Vittorio era già da tempo sofferente mentre don Gaudenzio era agli inizi della sua vita sacerdotale e pastorale. L’incidente mortale avvenne mentre stavano andando con la loro 600 da una parrocchiana gravemente ammalata. Per un anno Fratte risentì fortemente della morte dei due sacerdoti carissimi. “Sei l’unico parroco disponibile – mi disse mons. Girolamo – quindi andrai a Fratte. È una buona parrocchia che ha avuto dei pastori saggi e buoni, terra fiorente di vocazioni, di tradizioni e di vita cristiana”.

Così si esprimeva don Fabio nel 2006, al momento di accomiatarsi dalla comunità di Fratte servita per 36 anni: la «sposa», come amava chiamarla.

Don Fabio arrivava a Fratte da Livorno: dall’ottobre 1958 e fino all’ottobre 1970 aveva prestato servizio prima presso la parrocchia di San Pio X, assieme a don Bortolo Spiller, passando poi a quella di San Giuseppe, fino all’arrivo dei preti locali. La collaborazione era cominciata su iniziativa del vescovo padovano Andrea Pangrazio, inizialmente ausiliare di Verona (1953), poi di Livorno (1955), prima di diventarne vescovo titolare nel 1959. Nella città toscana il vescovo Pangrazio fu un padre per don Fabio che poté godere anche dell’amicizia del segretario, don Lorenzo Bellomi (futuro vescovo di Trieste). Don Fabio ebbe modo di lavorare anche con il successore, il vescovo Emilio Guano, sempre ricordando volentieri l’esperienza di Livorno che gli aveva permesso di conoscere il mondo degli operai e del lavoro, in un contesto di sinistra e dentro un ambito sociale ben diverso da quello veneto.

A Livorno don Fabio era giunto da Piove di Sacco, dove aveva avuto il suo primo incarico quale vicario parrocchiale, accanto a mons. Carniello, subito dopo l’ordinazione presbiterale avvenuta il 6 luglio 1952: incarico protrattosi fino al 1958. La nomina formale di cooperatore aggiungeva la dicitura: Canonicato VI.

Da molti secoli a di Piove di Sacco c’era una collegiata (arciprete, arcidiacono e nove canonici) soppressa dal Regno d’Italia nel 1910. Rimasero i cosiddetti Canonicati, legati agli oratori succursali, che avevano le loro rendite e la cura d’anime. Il Canonicato VI corrispondeva alla coadiutoria di San Rocco, con uno stato patrimoniale piuttosto scarso. Altre chiese minori erano Sant’Anna, San Francesco, San Rocco. In tempi più recenti, i Canonicati venivano chiamati Cure.

Andando ancora a ritroso, don Fabio apparteneva a una famiglia di Este comprendente, oltre al padre Umberto e alla madre Maria, le sorelle Sofia, Annamaria, Giuseppina, Francesca (ancora vivente) e il fratello Antonio. A Este don Fabio era nato il primo di ottobre del 1928, nella parrocchia di Santa Tecla (Duomo).

Le vicende – come si ricordava – hanno portato don Fabio a Fratte, dall’ottobre 1970 e fino all’estate 2006: una permanenza considerevole. Don Fabio scriveva: 

Vuol dire che questa è la volontà di Dio; qui ho posto la mia tenda in mezzo a voi e vi ringrazio che non me l’avete smontata. 

L’entrata nella parrocchia nel maggio 1971 fu accompagnata dal vescovo Mario Zanchin, allora a Fidenza, originario di Fratte, già parroco del Duomo di Este e col quale don Fabio mantenne sempre un rapporto filiale, di stretta amicizia e collaborazione.

Inevitabilmente la comunità di Fratte fu il campo di lavoro più disteso nel tempo, anche se don Fabio ha sempre e ovunque manifestato dei tratti di personalità caratteristici: dotato di una forte emotività, era buono e cordiale, allegro e dinamico, semplice ed estroverso, naturalmente trasparente e immediato, contagioso nel sorriso e nell’ironia leggera. Questi tratti lo rendevano espansivo, benvoluto e capace di relazione con chiunque. Magari non aveva le doti dell’organizzatore, ma coinvolgeva, incontrava, valorizzava, senza forzature. Aveva lo sguardo benevolo, conosceva tutti e portava tutti nella preghiera: dagli anziani, per i quali godeva vedendoli sereni in famiglia, fino ai più piccoli, che definiva dei sani «scacciapensieri». 

Ma una convinzione tornava sempre ribadita nelle parole di don Fabio:

In Cristo, nostro Signore, “Pietra angolare” della Sua Chiesa, abbiamo cercato di costruire una Chiesa quasi domestica, una Chiesa parrocchiale e paesana… sempre aperta alla Chiesa che è in Padova e alla Chiesa missionaria nel mondo (15.10.1995, 25° di presenza a Fratte).

Il Seminario Maggiore aveva dato fiducia a don Fabio inviando a Fratte per l’esperienza pastorale del fine settimana numerosi seminaristi in formazione, fin dal 1979 (l’invio sarebbe continuato sino al 2016): la comunità era stimolante e don Fabio, per nulla geloso dei ruoli, lasciava lavorare in serenità dando molta responsabilità agli stessi seminaristi, tanto da affermare di loro: 

«Primavera della chiesa, giovani tra i giovani, hanno impedito alla nostra Chiesa di invecchiare nel tempo». 

Amava essere un parroco di campagna, don Fabio e per questo motivo scriveva: 

Sentivo il bisogno di uscire all’aria aperta, in mezzo al verde della campagna, e respirare aria sana, vedere lo scorrere delle stagioni, con i miei parrocchiani addetti alle semine, alle coltivazioni, ai raccolti; e si pregava perché i raccolti fossero abbondanti in quanto rappresentavano le risorse quasi uniche per il sostentamento delle famiglie. Risentivo la missione che Gesù ha affidato ai Suoi Apostoli e ai loro successori: “Andate e annunciate il Vangelo a tutti”.

Nel saluto conclusivo alla parrocchia di Fratte, don Fabio disse:

«La visita alle vostre case era un’urgenza pastorale con la Benedizione di Dio e la preghiera. C’era uno stare insieme fino a perdere il senso del tempo; l’evangelizzazione non era solo conoscenza, ma un’esperienza serena e gioiosa. A volte era un condividere momenti di dolore e di lutto familiare o anche momenti di ritrovata guarigione, come san Paolo, il quale piangeva con coloro che piangevano e gioiva con coloro che erano nella gioia. Quello che veramente vale non è quello che si sa o si fa, ma quello che si vive.

E la scuola materna, cuore del cuore della famiglia parrocchiale. Non esistono giorni feriali nella nostra scuola materna… solo giorni festivi … sempre festa, allegria, gioia … una primavera di fiori variopinti, profumati, luminosi, i nuovi germogli, le nuove speranze per un mondo diverso e migliore».

E la nostra chiesa parrocchiale? Don Primo Mazzolari diceva: «La Parrocchia è costituita dal cuore della casa del Parroco, dalla chiesa di pietra, dal cuore e dalla casa dei parrocchiani». La nostra chiesa non è solo fatta di pietre, ma è un capolavoro d’arte sacra, bella, luminosa, spaziosa, accogliente, non dispersiva e sempre aperta per l’adorazione, si spalanca alla domenica, Giorno del Signore. Diceva ancora Don Primo: «La domenica è la nostra giornata, non si può immaginare un parroco che non aspetti la domenica e i suoi parrocchiani e dei parrocchiani che non aspettino il loro parroco».

E la visita ad un’altra famiglia più grande, la scuola elementare, gli insegnanti di ieri e di oggi, quelli dell’altro giorno già in pensione, anche a loro siamo riconoscenti e agli alunni di due o tre generazioni. Sento ancora la nostalgia di quei tempi, ma è una nostalgia gioiosa; è sempre stata una festa, momenti di serena letizia cristiana. 

Quante volte abbiamo risentito la domanda che Gesù ha fatto ai suoi apostoli e discepoli: «Chi dice la gente chi io sia? E voi chi dite che io sia? Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente».  Sarà S. Pietro a dirlo per primo e lo dirà fino alla fine dei tempi. E noi quante volte abbiamo riconosciuto in Gesù il Figlio del Dio vivente e abbiamo sentito la gioia d’un Gesù Crocifisso e Risorto: «Il Vivente»! (17.09.2006).

Nel settembre 2002, con la festa del 50° di ordinazione, la comunità gli dedicò le seguenti parole: 

Grazie don Fabio, perché i tuoi 50 anni di sacerdozio ci danno speranza, ci spingono ad avere il coraggio di rischiare la vita per Dio, perché egli è il primo ad essere fedele. Sei un buon prete, perché sei un prete buono, umile, ricco di speranza, capace di guardare al bene che c’è dentro ognuno di noi; colto ma semplice nel parlare, profondamente spirituale nell’agire; ancorato fermamente a ciò che credi, ma aperto al dialogo.

Conclusosi l’incarico di parroco, don Fabio «passò all’altra riva del fiume Vandura», trovando casa nell’abitazione un tempo adibita a uso del cappellano, poi venduta al Comune di Santa Giustina in Colle che vi aveva sistemato due appartamenti. Don Fabio vi poté abitare seguito dalla signora Giulia che per tanto tempo si era presa cura della sua persona, della chiesa e della canonica.

Ancora per la comunità di Fratte sono le parole del Testamento spirituale dove si legge: 

Ringrazio la Provvidenza che ha voluto che stessi qui a Fratte per numerosi anni. Ringrazio tutti voi, carissimi, di avermi voluto bene, tanto bene nonostante i miei limiti e le mie povertà. Grazie perché ci siamo voluti bene come nelle nostre buone famiglie cristiane, anche nel passaggio da una generazione all’altra. Grazie della gioia che mi avete dato facendo il parroco di campagna. Pregate per me quando verrà il momento “di passare all’altra riva”, dal tempo all’eternità.

Pregate per me perché il Signore e la Vergine SS. mi accolgano tra gli Angeli e i Santi del Cielo insieme con tanti parrocchiane e parrocchiani che ci hanno preceduto «nel segno della Fede e dormono il sonno della Pace». Noi ti lodiamo o Dio e ti benediciamo nel tempo e per l’eternità. Vi lascio con le parole di Gesù nell’ultima cena: «Rimanete nel mio amore. Questo è il mio comandamento. Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15) (07.10.2013).

Pienamente identificato con la comunità di Fratte, le sue vicende, le generazioni e il territorio, nel settembre 2006 don Fabio aveva ricevuto la cittadinanza onoraria del Comune di Santa Giustina in Colle.

Don Fabio si è spento a Camposampiero sabato 20 febbraio, presso il Centro servizi per anziani “A. Moretti Bonora”, dove risiedeva dal 2017 e da dove comunque continuava la sua missione di sacerdote con l’affetto, la simpatia, la saggezza e l’intelligenza che gli erano abituali, circondato dall’affetto di tanti amici, sempre sostenuto da una grande devozione alla Madonna e dalla fiducia nella Provvidenza.

Le esequie saranno celebrate dal vescovo Claudio martedì 23 febbraio a Fratte, alle ore 15.30 e nel cimitero locale la salma sarà poi tumulata.

“Voi siete la mia gioia e la mia corona” direbbe San Paolo.

Non ci siamo scambiati biglietti da visita, ma ci siamo incontrati a tu per tu … ci siamo conosciuti direttamente, ci siamo amati, abbiamo fatto l’esperienza del “vivere fraternamente in semplicità e gioia” (Atti degli Apostoli). Non abbiamo pianto sulla “fine della cristianità” cioè della religiosità di un tempo, ma abbiamo goduto della fede, del bene, della partecipazione convinta e sentita nei vari ambiti della vita parrocchiale, del volontariato sempre più esteso e impegnato. Questi ultimi tempi che ci danno a ben sperare non nella fine … ma in un nuovo inizio in questo terzo millennio che appena appena si apre dinnanzi a noi.

È dinnanzi alla morte che le note musicali quasi si spengono, ma si accende la speranza di quel Gesù che continua a dirci «Io sono la Resurrezione e la Vita. Chi vive e crede in me non morrà in eterno». E tutti dobbiamo ritrovare il valore inestimabile della vita (Natale 2002).

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