È mancato venerdì 6 agosto, giorno della Trasfigurazione del Signore, all’ospedale di Arzignano don Arcangelo Rizzato.
«Mi presento: mi chiamo Arcangelo e sono un sacerdote. Sono nato a Fara Vicentino nel 1947, primogenito; mio fratello è morto piccolino. La mia infanzia l’ho vissuta dai nonni materni a causa della malattia grave di mia mamma, Angela, che era diventata cieca dopo un intervento chirurgico ed è deceduta quando io avevo solo 12 anni. Mio papà Antonio era mezzadro. In quinta elementare sono entrato in seminario al Barcon di Thiene. Fin da piccolo desideravo essere sacerdote».
Così inizia il breve testo Da vinti a vincitori ((2016, Proget Edizioni) nel quale don Arcangelo aveva voluto affidare i suoi pensieri circa la malattia che da anni, ormai, lo aveva colpito, il Parkinson. Ordinato prete il 4 luglio 1971, era stato prima cooperatore festivo a Campagna Lupia e l’anno successivo a Brusegana, dove rimase fino all’ottobre 1979, quando fu destinato come fidei donum alle missioni in Ecuador.
A fine estate 1987 ritornò in Italia e nel settembre 1988 fu inviato a Faedo come parroco. Successivamente, diventò parroco di Calvene, dal 1996 al 2004. Del 2003 è la diagnosi della malattia che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita, tanto che fu inserito a Montegrotto Terme come collaboratore, in un contesto che gli diede serenità e stabilità, fino a quando nel 2014 chiese l’ospitalità al Cenacolo di Montegalda. A seguito della complicazione di un intervento chirurgico, la morte lo ha colto velocemente presso l’ospedale di Arzignano, nel giorno della Trasfigurazione del Signore.
In Ecuador don Arcangelo lavorò inizialmente a Tulcan, poi nella selva interna della Diocesi di Ibarra (Apuela, Imbabura) con don Tarcisio Favaron e don Giorgio Friso, mostrandosi riservato, razionale, fedele ai principi, timido, ma anche sensibile e affettuoso, attento alle persone uomo di fede e di preghiera, serio nel lavoro e dotato di saggezza. Richiesto di scendere nella costa, condivise poi con don Francesco Bonsembiante tre anni di ministero a Santa Marianita (Esmeraldas), mostrando pazienza e moderazione nell’accompagnare i gruppi ecclesiali. A proposito dell’Ecuador, don Arcangelo scriveva:
«Sono rimasto in quella terra meravigliosa, sia per le persone, sia per la magnificenza della natura, fino al 29 agosto 1987. Sono stati gli anni più belli della mia vita, alla scuola dei poveri. La mia esperienza religiosa si è arricchita a consolidata in un ambiente umano e spirituale molto diverso e umanamente più solidale del nostro. Avrei desiderato rimanere a lungo tra quella gente semplice e accogliente, ma un grave problema di allergia mi ha costretto a tornare definitivamente in Italia».
Negli anni di Calvene ha evidenziato l’umiltà come suo tratto distintivo. Certosino e meticoloso nelle omelie, rigorosamente scritte a mano, dava fiducia incondizionata ai giovani (durante il suo ministero a Calvene il gruppo chierichetti contava 40 bambini e restano memorabili i campiscuola a malga Cima Fonte dove era presente giorno e notte con grande senso di responsabilità). Fedele ai precetti e alle regole delle Chiesa, al costo anche di essere impopolare, amava la discrezione e continuamente ringraziava con gratitudine. Conquistava anche le persone non credenti con il suo profondo rispetto, non mostrandosi invadente, ma delicato nelle relazioni. Si potrebbero applicare a lui le parole di san Francesco di Sales, il quale scriveva: «L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio». A Calvene ricordano che, avendo perso la mamma da piccolo, concludeva tutte le liturgie con il canto Santa Maria del cammino.
Negli anni di Montegrotto don Arcangelo è stato uomo di silenzio e di parole sapienti: le parole uscivano da un silenzio carico di riflessione e sembravano costare quasi uno sforzo fisico, ma proprio per questo motivo diventavano pregne di autorevolezza e discernimento, come dimostrava anche il suo servizio delle confessioni. Non predicava mai perché gli costava troppa fatica farlo, ma rammentava di aver trovato nella comunità una vera famiglia, un ambiente sereno e accogliente, dei laici e delle famiglie con cui amava pregare, spezzare la Parola di Dio nei centri d’ascolto, giocare a carte, guardare le partite di calcio.
«Passai lì anni felici e comunque operosi, partecipando alla vita della parrocchia, nelle celebrazioni, nel ministero della riconciliazione, nella visita agli ammalati e, come hobby, deliziando tutti con la mia arte culinaria!»
«Con il passare degli anni si fece sempre più insistente e forte il bisogno di aiuto per le necessità di vestirmi e di gestire le attività di ogni giorno per cui nel 2014 decisi, seppur a malincuore, di andare in una struttura protetta, il Cenacolo di nostra Signora di Fatima, a Montegalda, dove risiedo ben assistito e aiutato. Conservo la mia autonomia e ho sostituito l’arte culinaria con una proficua e rilassante attività di coltivazione di ortaggi, da condividere con gli ospiti della casa, che apprezzano molto».
E in effetti, al Cenacolo don Arcangelo continuò a mostrarsi taciturno, ma presente e pienamente inserito, accanto ai preti e alle ospiti della casa.
Se gli ultimi mesi hanno costretto tutti a fare i conti con la fragilità dovuta al Covid-19 e all’incertezza che ne è venuta, don Arcangelo si è trovato a gestire nel tempo una non prevista fragilità del corpo e del ministero, da lui accolta e letta con la serenità della fede. Del resto, la sua stessa morte è giunta velocemente e inaspettata, in silenzio, nel mezzo dell’estate.
«Unendo la nostra sofferenza a quella di Cristo, morto in croce per tutti, camminiamo verso cieli nuovi e terra nuova. È dentro a questo sguardo di fede che il confessore mi disse: “Quando capirai ringrazierai Dio”».
Le esequie, presiedute dal vescovo Claudio, saranno celebrate lunedì 10 agosto alle ore 10 a Montegalda, dove anche la salma di don Arcangelo sarà tumulata.