La Chiesa di Padova giovedì alle 9.30 nella chiesa di San Bellino saluta un suo diacono permanente, tornato alla casa del Padre: Giuseppe Fincatti. Il suo un impegno caratterizzato dall’attenzione al mondo del lavoro e della sofferenza.
Nato a Merlara il 6 gennaio 1929, è stati segnato duramente dagli eventi della seconda guerra mondiale. Essendo il papà Guido militare nella campagna d’Africa, Giuseppe ha dovuto subito confrontarsi con non poche difficoltà che lo hanno spinto nel mondo del lavoro attraverso faticose esperienze nei campi, nella ferrovia di Ostiglia e come addetto comunale mentre portava avanti con determinazione gli studi fino a conseguire il diploma di computista commerciale.
Il titolo conseguito gli aprì le porte della più importante banca locale (la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo) dove rimase fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Nel frattempo, il matrimonio con Rina, nel 1960, era stato allietato da quattro meravigliosi figli di cui andava orgogliosissimo: Anna Maria, Luigi, Maria Teresa e Francesca.
La fede in Gesù Cristo era sempre stata per Giuseppe la solida roccia su cui fondare la propria vita tanto che aveva scelto di entrare nella comunità cappuccina di San Leopoldo come terziario francescano coinvolgendo tutta la famiglia.
Alla restaurazione del diaconato permanente nella nostra diocesi, da parte del vescovo Filippo Franceschi, era sembrato logico a Giuseppe chiedere di entrare a far parte del primo gruppo di candidati all’ordinazione diaconale. In realtà Giuseppe si era interessato al diaconato sin dalla sua reintroduzione in Italia a seguito delle disposizioni del Concilio Vaticano II. Il cammino di formazione non fu breve e durò quasi 7 anni (dal 1981 al 1987) perché i candidati dovevano essere attentamente vagliati trattandosi proprio della prima esperienza assoluta per la chiesa di Padova. Dopo gli impegnativi studi presso La Scuola di Formazione teologica dell’Istituto San Massimo in Padova e innumerevoli incontri di istruzione spirituale, pastorale e liturgica con i compagni di corso sotto la guida dell’allora delegato per il diaconato permanente, don Pietro Brazzale, fu ordinato diacono l’8 novembre 1987 dal vescovo Franceschi nella splendida cornice del Duomo.
I compagni di ordinazione lo ricordano come una persona generosa, dotato di uno spirito sempre allegro, mai cupo, che ha vissuto con francescana letizia il non facile percorso della vita.
Anche per la sua precedente esperienza maturata nel mondo operario, il vescovo Franceschi gli diede il mandato di operatore pastorale nella ZIP, la zona industriale di Padova oltre a quello di cura dei malati nella parrocchia di San Bellino. La particolarità dell’azione pastorale di Giuseppe nella ZIP sta nelle modalità del suo agire per portare l’annuncio del Regno. Giuseppe è stato missionario di Gesù non solo nelle fabbriche e negli uffici con dirigenti, impiegati e operai ma ha avuto un approccio integrale dell’Annuncio portando la testimonianza di Cristo fin dentro nelle case di quanti, incontrati al lavoro nella ZIP, avevano famiglie sofferenti per malattie morali o fisiche.
Un lavoro di semina del Regno che si è protratto per ben 15 anni fino a quando una grave malattia non lo ha fermato.
Tra le varie attività svolte da Giuseppe oltre a quella nella ZIP, una emerge in modo importante: l’assistenza prestata a mons. Magarotto, quando è stato amministratore apostolico della diocesi, e al vescovo Mattiazzo negli spostamenti nelle parrocchie periferiche per l’amministrazione del sacramento della cresima. Giuseppe in quelle occasioni è stato un prezioso factotum: autista, segretario, cerimoniere, perché sapeva intelligentemente destreggiarsi nelle più svariate mansioni.
La sua malattia e quella dell’amatissima moglie Rina hanno molto contenuto la sua azione pastorale, ma non del tutto spenta perché Giuseppe è stato diacono in servizio attivo sempre, fino a quando le forze glielo hanno permesso, portando parole di fiducia, di amore e di incoraggiamento per coloro che vedeva in difficoltà.
Ecco dunque Giuseppe: un uomo che ha portato con grande dignità la stola e il grembiule, sapendo che ogni sua azione era sostenuta dal Signore che dona il suo Spirito perché senza il suo aiuto ogni sforzo umano è vano.