cs 266_INTERVISTA AL VESCOVO CLAUDIO

Don Claudio, con che spirito, con che stile, con che “intonazione” vorresti che venisse vissuta questa domenica dai fedeli che saranno in Cattedrale e da quelli che pregheranno per te in tutte le comunità parrocchiali?
«Vorrei che lo spirito fosse quello di trovarci tutti insieme per chiedere al Signore di ripartire. C’è un bel passo del vangelo che ci invita sulla sua parola a “gettare la rete sulla parte destra”. Ecco, è sulla parola del Signore che dobbiamo ripartire insieme, ed è questo aiuto che tutti insieme dobbiamo chiedere: immagino che saremo in tanti, e quindi sono certo che la nostra voce si sentirà bene! Preghiamo con una intonazione che sia quella della gioia e della speranza, perché abbiamo un nuovo tratto di strada da vivere insieme, senza limitarci semplicemente a conservare quanto è stato costruito ma guardando in avanti. Con fiducia».
 
In queste settimane hai più volte espresso il desiderio di veder fiorire comunità di cristiani vere, fraterne. Da cosa si riconoscono?
«Dal fatto che chi ne fa parte si conosce, si vuole bene e sa porsi al servizio di tutti, in vero spirito di fraternità. Anche di quanti si sono magari allontanati da noi, perfino sbattendo la porta».
 
Hai scelto di partire non da uno dei confini della diocesi, come spesso avviene, ma da quello che noi consideriamo cuore e simbolo della carità: l’Opera della Provvidenza di Sarmeola di Rubano. In queste settimane hai avuto modo di visitarla: conoscevi già la sua storia, e quali sensazioni hai avuto nell’incontrare operatori, ospiti, familiari?
«Di questa iniziativa non conoscevo assolutamente nulla. Nel visitarla ho toccato con mano una realtà stupenda, un segno corale, ecclesiale, di vicinanza a chi è più debole. Ecco, ho pensato che l’Opsa potesse essere come un confine, non geografico ma esistenziale. E mi sembra bellissimo che una chiesa parta da questo confine, ricordandoci che i confini non sono soltanto frontiere: sono anche luoghi d’incontro».
 
L’anno della misericordia è alle porte. Cosa rappresenterà per te e per la nostra diocesi?
«Per me rappresenterà una grande opportunità spirituale, per imparare a lasciarmi raggiungere dalla misericordia del Signore e a dare misericordia. Se potessi davvero presentarmi a voi come un pastore guidato dal vangelo della misericordia, se potessi averlo vivo nel cuore credo che sarebbe il modo più bello di incontrarsi».
 
C’è una grande attesa per il tuo arrivo, all’interno della comunità diocesana ma anche nella società civile. Alla Padova “laica”, che saluto ti senti di rivolgere pensando al cammino che comunque tutti saremo chiamati a percorrere insieme nei prossimi anni?
«Spero che sia una festa, e che questa festa possa continuare nel tempo, che sappia orientare i nostri giorni feriali. Festa vuol dire accoglienza, fiducia, speranza, pace, armonia, incontro. Spero davvero che questa nostra festa sia capace di rallegrare tutte le altre attività, anche quelle impegnative, anche i momenti difficili, anche i giorni di lavoro intenso».
 
Venerdì 23, la veglia missionaria dell’invio. Sarà la prima, o una delle primissime, tue “uscite” ufficiali. Ma quali luoghi e ambienti vorresti visitare in queste prime settimane? Attendi inviti, o hai già in mente dove andare?
«Non attendo inviti, anche perché arriverebbero da chi è già abituato a invitare. Spero invece di essere capace, e desidero essere aiutato in questo, di prendere l’iniziativa, per andare dove normalmente non si va. Penso alle parrocchie più lontane, ai luoghi della povertà e della sofferenza, ai nostri preti ammalati che desidero con tutto il cuore andare a trovare. Spero di saper trovare l’equilibrio tra la risposta agli inviti, senz’altro graditi, e questa libertà di andare dove so che sono atteso e dove magari non c’è nemmeno la forza di dire “vienici a trovare”».
 
Nel tuo stemma campeggiano l’ampolla di Prosdocimo, “il battezzatore”, e le gocce del sangue di Cristo. Simboli di Padova e Mantova, che rimandano all’inizio della storia delle nostre chiese. Oggi abbiamo la sensazione che ci sia in qualche modo da “ricominciare”, e non solo nel cammino ecclesiale. Ricominciare: da dove?
«Nello stemma che ho scelto – e a cui confesso di non essermi dedicato tantissimo perché ho la sensazione che mi collochi a un livello diverso dalla povera gente nella quale io mi riconosco – quella brocca, oltre a essere segno di Prosdocimo che diffonde la Parola, per me è anche segno della brocca di Gesù che lava i piedi. Così come quelle gocce di sangue per me sono anche segno del costo della testimonianza cristiana. Io vorrei ricominciare da qui, da un profondo spirito di servizio, dal testimoniare più che dall’insegnare. Sentendoci tutti impegnati ad ascoltare il vangelo, nella consapevolezza che arricchisce ciascuno di noi perché ci rende più uomini. Ed è questa grande verità che noi dobbiamo regalare alla gente che incontriamo».
 
Sei chiamato a guidare una diocesi ricca di passione, la cui vita si fonda sull’impegno di centinaia e centinaia di operatori parrocchiali, catechisti, animatori, con una ricca presenza di movimenti e associazioni. Quale ruolo immagini oggi per i laici?
«I laici sono la chiesa, siamo noi ministri ordinati che siamo al servizio delle comunità così come si sono andate strutturando nel tempo. Magari c’è qualcosa da spolverare, magari c’è da aiutare qualcuno che si è un po’ scoraggiato, ma arrivo pienamente consapevole del tanto che già esiste, delle mille “perle preziose” – come ricordano gli orientamenti pastorali di quest’anno – che sono tra noi. In tutto questo, il primo posto è proprio dei laici. La chiesa sono i cristiani. E come vescovo spero di aiutarli nel loro cammino».
 
Ti aspettiamo sul sagrato della Cattedrale, dopo la cerimonia?
«Certo. Io ci sarò senz’altro. La piazza è il luogo dell’incontro con i credenti e con tutte le persone che vivono nel mondo. Ed è questo che noi oggi siamo chiamati a fare».
Guglielmo Frezza


Padova, 16 ottobre 2015
cs 266/2015

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