Mese di maggio: preghiera e lavoro
Il vescovo Claudio guida la preghiera
per il mondo del lavoro ai tempi del coronavirus
Maggio fa il suo ingresso con la festa del Primo maggio. Il giorno di ingresso, come un portale che abbiamo costruito in questi secoli (dal 1890), impone alla mia attenzione il mondo del lavoro, il lavoro degli uomini e delle donne, i diritti dei lavoratori acquisiti con lotte, l’importanza del lavoro presentato dalla nostra Costituzione come fondamento della Repubblica, la qualità del lavoro come segno della dignità dei lavoratori.
Lo so, non è una ricorrenza religiosa ma una festa civile, e quest’anno più che mai sembra che questa giornata debba avere il tono dell’augurio e della speranza per tutti: che il lavoro possa essere festa! Festa per le famiglie perché trovino sicurezza e prospettive, festa per i progetti di vita sognati dai giovani perché possano realizzarsi… Festa per tutti!
Può essere anche occasione bella di preghiera per stare con il cammino degli uomini e delle donne e arricchire la storia di una dimensione spirituale esprimendo la certezza che la fatica di ogni essere umano è inscritta nel cammino del realizzarsi del Regno di Dio.
Nel lavoro siamo chiamati a integrare, a “mettere insieme” fede e vita, cioè realizzare una vita credente e una fede vissuta. Si lavora per vivere bene, con dignità, ma anche la preghiera è per vivere bene, con dignità. Preghiera e lavoro, ora et labora secondo l’adagio benedettino, sono per la vita, per dare qualità alla vita. Per la vita, in tutte le sue manifestazioni e in tutti i suoi stadi, Dio si è fatto servo: lo abbiamo visto in Gesù e ci viene raccontato nei Vangeli. Ne siamo convinti fino al punto da non aver avuto dubbi che per difendere la vita, tanto amata da Dio, si dovessero sospendere sia le celebrazioni religiose che gran parte delle attività lavorative.
Quest’anno tutti noi abbiamo compreso l’importanza del lavoro soprattutto nel campo della salute e della protezione dei più deboli. Abbiamo applaudito per sostenere gli operatori sanitari, i medici e gli infermieri in particolare, ma anche gli operatori della protezione civile, del volontariato sociale e anche delle nostre Caritas. Abbiamo posto fiducia nelle autorità civili, soprattutto negli amministratori, attenendoci alle loro indicazioni. Adesso è il momento dell’attesa di sostegni e aiuti finanziari per le attività economiche e sociali e guardiamo al Governo, all’Europa, al mondo intero. Stiamo anche sperimentando un sentimento di attesa – come quando in Avvento si aspetta il Natale – verso i risultati della ricerca scientifica e del vaccino!
Resta comunque un po’ di timore, di apprensione che qualcosa sia più grande di noi e ci sfugga.
Ma non è per questi timori che guardiamo a Dio, come se non riuscendo a venirne a capo da soli “provassimo” a rivolgerci a Lui: sarebbe una rinuncia alle nostre responsabilità di uomini, di lavoratori, di scienziati. E anche la relazione con Dio avrebbe bisogno di qualche precisazione.
Questi sentimenti devono provocarci verso un impegno umano ancora più forte e serio. Tutti noi vogliamo sostenere i ricercatori e gli scienziati, incoraggiare i politici a guardare al bene comune, allearci a tutti i livelli per creare maggiore forza nel combattere il Covid-19 e contenere i danni provocati da questa emergenza a livello sanitario, economico e finanziario e di conseguenza sociale.
Eppure nel mio cuore di cristiano c’è anche l’immagine del mese di maggio dedicato dalla tradizione popolare a Maria, Madre del Signore. È il mese dei rosari nelle case, nelle vie o nelle borgate, soprattutto in campagna, mese di preghiera, di incontri, di mazzi di rose portati alle immagini della Madonna nei capitelli lungo le strade. Quest’anno c’è anche lo spazio in casa, quotidiano, dell’“angolo bello”. Possiamo pregare insieme l’Ave Maria con una decina, con il rosario; invocare lo Spirito Santo, ricordare il mondo del lavoro così necessario e vitale.
Maria è immagine del cristiano che accoglie Dio Padre, non per convincerlo o per usarlo ma per fargli spazio nella vita. Maria lo accoglie in se stessa e si rende disponibile al suo disegno e ai suoi progetti di bene e di amore per la vita.
Della vita degli uomini fanno parte il lavoro, l’intelligenza umana, la scienza, la capacità di organizzarsi e di guardare al futuro, la sensibilità politica, l’amore verso il creato.
Fare spazio a Dio, come Maria, è dare qualità a tutto ciò che è umano: accoglierlo, come Maria, per restare umani nello scorrere del tempo e degli eventi, sia quelli favorevoli che quelli difficili. Per far spazio a Dio anche nel tempo e nelle energie dedicati al nostro lavoro.
Chi vorrà reciterà le Ave Maria. Come dire a Maria, Madre del Signore: “Aiutaci a lasciar spazio al Signore”. Lo farò anch’io recandomi in alcuni dei Santuari che la nostra storia ha eretto a testimonianza che la fede in Dio ha aiutato nelle difficoltà: ha dato coraggio, conforto, intuizioni… E lo farò a nome di tutte le nostre comunità, soprattutto di chi è stato più colpito, e anche per i nostri tanti defunti.
Il primo maggio però partirò da un ospedale che è diventato un po’ il simbolo di questa emergenza, del lavoro instancabile di molti e anche dell’accoglienza: quello di Schiavonia!
C’è un altro arricchimento in questo incontrarsi di fede e vita nel maggio dell’anno del Covid-19. Riguarda la consapevolezza del limite dell’uomo che mi ricorda quello imposto nel giardino terrestre.
L’uomo è uomo, la più bella delle creature, ma non è Dio, non è il Creatore. Pregare è collocarsi nei confini della creatura e non del Creatore. Pregare è umiltà dell’uomo di fronte a Dio. Pregare è lasciarsi ispirare da cose alte, divine, rispettandole non possedendole. Pregare è rimanere con una speranza viva perché la vita è nelle mani di Dio, del Padre buono che è nei cieli, e non si identifica solo con quella di questa terra.
È come dire a Maria: “Aiutami a essere pienamente umano anche in mezzo alle preoccupazioni”. Sempre, “adesso e nell’ora della nostra morte”.
Per noi il Signore è uno solo e in Lui solo poniamo la nostra Speranza. Noi siamo nella sua vigna “i suoi lavoratori” generativi cioè liberi, creativi, partecipativi, solidali. Lo diciamo fermandoci in preghiera.
+ Claudio Cipolla,
vescovo di Padova
29 aprile 2020