«Saletti voleva pregare, ma non credeva in dio». In un dialogo con l’amico Michele sbottò: “Che noialtri, lo sa perché ci fregano? Ci fregano perché non abbiamo il rito. Noialtri siamo senza il rito. Si rende conto? (…) Il rito giusto, il rito ateo, una volta o l’altra vuole imparato (…) Gli antichi, glielo ha mica imparato nessuno, il loro rito. Ed erano molto ma molto più ignoranti di noi. Ve lo dico: qui, se impariamo noi il rito, il mondo non è mica più lo stesso di prima. Noialtri ci vorrebbe qualcosa per dimostrare la nostra sensibilità. Altrimenti credono di averla solo loro, la sensibilità. I preti. E ci trattano da gente arida. Ma è colpa nostra. Avessimo il nostro rito, sarebbe più bello del loro» (M. SERRA, Cerimonie, pp.9-13).
Anche noi forse in questo periodo, unico nella storia del cristianesimo perché non celebriamo il Giorno del Signore, sentiamo la nostalgia del rito. Forse è il momento di ripensare a un fenomeno culturale – il rito – che è basilare nella storia dell’umanità e che incautamente la modernità ha lasciato alle spalle. Il fenomeno del rito non solo ha fatto la differenza nell’evoluzione dell’uomo, ma ne ha guidato lo sviluppo, dimostrandosi capace di articolare dimensioni eterogenee: natura e cultura, società e individui, uomini e donne, sacro e profano, risorse economiche e numero della popolazione, cultura e culture, ecc.
Il rito è realtà simbolica senza alternative perché è un meccanismo sociale, fondamentale ed efficace. Il rito, che, pur avendo meriti enormi nella costruzione dell’uomo, sembra oggi latitante, con le inevitabili conseguenze negative per la nostra generazione. Il linguista George Lakoff scrive: «Il rituale costituisce una parte indispensabile della base empirica per il nostro sistema metaforico culturale. Non vi può essere cultura senza rituale».
Lo scenario mondiale globalizzato, che poteva diventare una possibilità d’incontro, ha invece scatenato conflitti di ogni genere, compreso quello religioso. Si pensava che la ragione – di tipo strumentale e positivistico, tecnologico delle scienze applicate ai vari ambiti, non ultimo quello della politologia, della sociologia e della psicologia sociale – fosse uno strumento sufficiente d’inquadramento onde proporre una strategia efficace. Oggi ci troviamo invece in un’impasse politico-culturale molto seria, che rischia di peccare di troppo ottimismo nel dialogo, oppure, viceversa, di attingere a soluzioni “razionali che creano mostri”. Nello stesso Occidente non riusciamo a trovare strumenti idonei per rendere compatibile i fenomeni individuali rispetto alle esigenze sociali che sfociano in scontri corporativi contrari al bene comune. Ci sono riaggiustamenti, ma sono solo tentativi di venire a capo di qualcosa che ci sfugge.
Solo di recente antropologi, sociologi e neuroscienziati hanno mostrato ai teologi che nel fenomeno-rito c’è molto di più di quel che si sospetta. Il rito sarebbe un fenomeno basilare dell’umanità perché riesce a “fare scambi”, cioè a mettere in correlazione fenomeni molto diversi tra di loro, che possono andare dalla dimensione legata all’etica e al diritto, fino alla religione e all’estetica. Il rito sarebbe quindi un fenomeno sociale che adempie un compito analogo ai meccanismi omeostatici presenti nell’organismo umano (pensiamo alla pelle, o alla membrana cellulare che riesce a scambiare interno ed esterno).
La ritualità sarebbe una modalità originaria della coscienza umana di collocarsi nel mondo e gestisce un po’ tutti i mondi del vissuto, sebbene abbia avuto molto sviluppo nella dimensione religiosa tradizionale e al contrario molto sospetto oggi nell’attitudine scientifica. La caratteristica saliente è la ripetizione.
Il valore della ripetizione rituale è riconosciuto dalle più recenti scoperte delle neuroscienze, dove le si attribuisce la possibilità della memoria e della coscienza. G.M. Edelmann scrive: «Secondo la teoria della selezione dei gruppi neuronali (TSGN), la memoria è la capacità di ripetere o eliminare in modo specifico un atto mentale oppure fisico – una capacità che scaturisce dalle variazioni dell’efficacia (o forza) sinaptica in circuiti di gruppi neuronali… Ogni evento di memoria è pertanto dinamico e sensibile al contesto – provoca una ripetizione di un atto fisico o mentale che è simile, ma non identico ad atti precedenti».
L’ipotesi di fondo è che la ritualità umana ed animale anche nella sua più debole funzione di orientamento produce un senso di sicurezza, di stabilità e di equilibrio non bene identificato, che si tratta di specificare. L’etologia ha messo in evidenza il valore orientativo dei riti, pena la perdita della stabilità psico-fisica. La descrizione della depressione dell’oca Martina di Lorenz per un errore rituale è l’esempio straordinario del valore della ripetizione cerimoniale. Non si contano i riti di corteggiamento, come quello dello svasso maggiore, al punto che si potrebbe concludere: crisi del rito, crisi dell’orientamento nel mondo.
È un problema enorme: come riusciamo a stare al mondo nonostante siamo continuamente aggrediti da virus che minacciano la nostra vita in modo fatale? L’organismo ha creato sistemi molto complessi di drenaggio tra interno ed esterno, normalmente quasi incompatibili. Ciò che avviene nel corpo fisico umano avviene anche nel corpo sociale, che deve sempre far fronte a fenomeni tra loro eterogenei, a molti livelli. Un neuroscienziato, precisamente T.W. Deacon, sostiene che agli albori dell’umanità l’origine del distacco dell’essere umano dagli altri primati potrebbe dipendere dal rito del matrimonio, in quanto ha organizzato la sessualità.
Nell’ambito odierno del conflitto tra individuo e società, che cosa rende compatibile queste due realtà? La tendenza è dire che la normatività pubblica non deve fare altro che rendere giuridicamente accettabili i diritti privati del singolo. Ma così scoppiano molte problematiche, come la questione della giustizia, cioè il potere di stabilire il rapporto tra la parte lesa e il giusto risarcimento. Il rito potrebbe diventare il meccanismo sociale basilare che compone individuo e società, evitando il capro espiatorio e la violenza conseguente perché è in grado di istituire l’accettazione pubblica attorno agli ordini fondamentali come lo Stato, la Giustizia, il Sacro. Se si volesse approfondire questi aspetti rimando umilmente al mio libro “Il conflitto delle pragmatiche nell’epoca del disincato e delle multietnie”.
Se si rimane su un piano contenutistico della fede, si finisce inevitabilmente nello scontro di civiltà e di religioni. Invece è stato molto interessante il cosiddetto “spirito di Assisi”, dove nel 1986 Giovanni Paolo II invitò i rappresentanti di tutte le religioni. Si misero a pregare contemporaneamente, pur ciascuno nel proprio spazio, e lo scopo dell’unità per la Pace fu raggiunto, mentre, se si fossero messi a discutere sui contenuti, avrebbero solo litigato.
don Roberto Tagliaferri, teologo, docente Istituto Liturgia pastorale Santa Giustina, Padova
23 marzo 2020