MARCIA PER LA PACE
Domenica 27 gennaio 2019
Chiesa di San Carlo, Padova
Omelia
Abbiamo vissuto una Marcia organizzata e partecipata da tante realtà diverse, cattoliche, cristiane, laiche, e con sorelle e fratelli di altre religioni.
L’abbiamo vissuta nelle vie dell’Arcella, parte significativa della nostra città, ricca di “fatti di pace”, perché impegnata nello sforzo continuo di rigenerarsi, di essere luogo di incontro tra persone, di promozione umana, culturale, economica; nello sforzo di essere un luogo “bello”. Luogo dove sono fiorite mille iniziative di carità, di solidarietà, di incontro, di cultura, proprio come risposta alla sfida della convivenza, dell’integrazione, a volte della povertà.
Con il nostro camminare abbiamo voluto dirci e dire che questo quartiere è da amare, e qui noi vogliamo anche annunciare che è un luogo amato da Dio. Dio benedica lo sforzo di tutti coloro che si impegnano per fare di queste vie un luogo di pace, sia come politici e amministratori, sia come realtà religiose, sia come realtà sociali e culturali. Spero vi sia sempre il dialogo tra tutti, perché unico è il fine, la pace e il bene comune, il bene di ogni persona che qui vive.
Noi, al termine della Marcia, abbiamo deciso di celebrare l’Eucaristia.
Lo facciamo perché sentiamo, nella nostra fede, che anche questo è un “fatto di pace”, che costruisce la pace. Diamo voce e rendiamo vive qui le parole di Gesù nella sinagoga di Nazareth:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Oggi, questa parola di pace, grazie ai gesti di tutti (non solo cristiani) si compie.
Ma qui, celebrando e pregando, noi vogliamo anche fermarci e sostare, lasciando che sia Dio ad agire e a portare a compimento, con la forza del Suo Spirito, e della sua Parola. Con questa celebrazione noi infatti diciamo che anche Gesù è all’opera con il suo Spirito. Non siamo soli in quest’opera. E la sua azione è efficace, perché trasfigura continuamente le nostre relazioni dando la forma della carità, del dono di sé, della solidarietà, dell’amicizia civile, della fraternità. Celebriamo questa Eucaristia per lasciare che anche Dio possa agire con noi.
Celebrando l’Eucaristia poi formiamo un corpo, e ci sentiamo corpo solidale con tutta l’umanità. E come un corpo solo, tra noi e con l’umanità, abbiamo ascoltato queste parole fortissime: «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme». Parole che ci interpellano. E ci costringono a farci continuamente la domanda: chi sono le membra che soffrono?
Sono tante, anche nella nostra città. È decisivo saper rispondere a questa domanda. Quando smettiamo di farlo, diventiamo meno umani. E invece dobbiamo restare umani, come troviamo scritto nell’appello lanciato da cattolici ed evangelici lanciato in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Chi sono dunque le membra che soffrono?
Gli anziani soli ed impauriti, perché fragili.
Chi non ha casa.
Chi non ha da mangiare.
Chi non ha lavoro.
Chi è solo.
Chi è vittima di dipendenze.
Chi è ricco, ma si sente svuotato di senso.
Chi, migrando dalla sua terra, è giunto tra noi perché è scappato non solo dalla guerra, ma dalla fame, dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla persecuzione.
Camminando nella nostra città abbiamo toccato luoghi ed esperienze che sentono la sofferenza di queste membra della comunità e cercano di condividere sofferenza e soluzioni. Sentiamo forte che possiamo e dobbiamo fare ancora di più e meglio.
Forse però questo ancora non basta.
Oggi, per restare umani, dobbiamo anche lavorare sulla nostra percezione, sul nostro linguaggio, su quelle tentazioni di separare, di dividere, di mettere una categoria di membra che soffrono contro l’altra, di scatenare guerre tra i poveri, che poi non sono altro che la vittoria dei potenti.
Dobbiamo lavorare per costruire una cultura della pace e della solidarietà.
Dobbiamo lavorare perché guide del nostro pensare, parlare ed agire siano il tenerezza dei nostri cuori e la ragionevolezza, per leggere con oggettività le situazioni, per leggere i fatti per quello che sono, per riconoscere le soluzioni vere ai problemi, per essere sempre solleciti e gentili verso ogni singola persona, prima di ogni legge, di ogni calcolo, di ogni convenienza.
Dobbiamo lavorare perché rimanga vivo in noi il senso di scandalo di fronte a parole e gesti, che come virus rischiano di ammalare il corpo intero (ci aiuta in questo anche la Giornata della Memoria, che ricorre oggi, e che ci aiuta a non dimenticare ciò che è successo ai nostri Fratelli Maggiori Ebrei, e alle responsabilità di tanti, troppi, in quella drammatica storia).
Come ci ha suggerito il Papa nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, dobbiamo lavorare per costruire e sostenere «una buona politica al servizio della pace».
E permettete: su alcuni temi, come quello dei migranti, che oggi sembra essere la nuova pietra di inciampo per tanti, lo stesso Papa Francesco ci sta guidando con sapienza, tenendo la barra dritta sul Vangelo. Noi sentiamo che quella parola ci fa bene, ci mantiene inquieti e vigilanti, e per questo vogliamo ascoltarla, farla nostra, e sostenerla.
Essa ci impedisce di appiattirci su visioni riduttive; ci stimola a pensare, parlare, e agire come uomini e donne che sanno “piangere e inginocchiarsi” (come il popolo di Israele– cf. prima lettura) non solo alla stessa Parola del Vangelo, ma soprattutto ai “cristi” che oggi ancora vivono le Vie Crucis in questo mondo, nelle terre e nei mari, e che in modo chiaro ci parlano anzitutto di Dio, rivelandoci il suo vero volto.
+ Claudio, vescovo