«Non dobbiamo avere paura di questa parola, riforma, no, riforma non è imbiancare un po’ le cose, riforma è dare nuova forma alle cose, organizzarle in altro modo». parole indirizzate da papa Francesco il 4 maggio scorso ai partecipanti all’incontro con la prima assemblea plenaria della Segreteria per la Comunicazione.
Nel percorso di riforma, come giustamente osserva mons. Dario Edoardo Viganò presidente della Segreteria stessa, si corre il rischio di guardare il dito piuttosto della luna, ovvero di concentrarsi sui nuovi siti pubblicati il 16 dicembre più che sull’architettura di produzione che c’è dietro. Nel maggio 2016 Mons. Viganò, ospite del Festival Biblico di Padova, aveva spiegato senza distorsioni e senza retorica come molti mezzi di comunicazione del mondo ecclesiale siano sovrastimati, rispetto alla reale efficacia. Di quella conversazione allo Studio teologico del Santo ho apprezzato la franchezza e la capacità di ammettere i limiti della comunicazione vaticana.
L’esperienza di alcuni anni trascorsi nel mondo della comunicazione ecclesiale mi suggerisce che le vere collaborazioni tra media, quelle fattive e non quelle retoriche che si raccontano per adesione ideologica, avvengono tanto più quanto c’è un unico riferimento e un progetto in grado di ri-orientare ogni mezzo ad un risultato comune. Come spiegava Mons, Viganò nella sua conversazione padovana con il prof. Umberto Curi nel 2016 moltiplicare le figure di riferimento rischia di polverizzare gli sforzi e a restituire una comunicazione frammentata in tanti rivoli. Questo per evitare la prospettiva gattopardesca che suggerisce che perchè “tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Riorganizzare in tale ambito significa toccare anche e soprattutto nervi scoperti, gangli di potere, privilegi, nicchie ricavate nel tempo e difficili da ridimensionare. Lo aveva preannunciato lo stesso papa Francesco: «si deve fare con intelligenza, con mitezza, ma anche anche c’è un po’ permettetemi la parola un po’ di violenza, ma violenza buona, riformare le cose». Complimenti per il coraggio.
Marco Sanavio