I consistenti flussi di profughi verso l’Europa iniziati nel 2013, a cui l’Ue ha dato il nome, a partire dal 2015, di “crisi dei migranti”, in realtà si sono presto rivelati piuttosto come l’inizio della “crisi dell’Unione Europea” dinanzi all’arrivo dei migranti. Innescata, ai confini orientali, con l’inizio dell’affollata e sanguinosa guerra in Siria e, ai confini meridionali, con l’assassinio politico di Gheddafi e la conseguente precipitazione della Libia in un caos politico-istituzionale (eventi entrambi accaduti nel 2011, a 40 anni dal varo della Convenzione di Ginevra, e ad oggi, dopo oltre 10 anni, tutt’altro che vicini a una soluzione), negli anni successivi la pressione migratoria dei profughi sull’Unione Europea è stata alimentata dalle cosiddette “Primavere arabe”, la cui “fioritura” e poi rapida, cocente “sfioritura” hanno alimentato, nel Mare nostrum, quegli stessi flussi, spaventando ancor più il sempre più Vecchio Continente.
Uno spavento che ha esercitato un effetto-scintilla, per la già fragile e sbiadita identità europea, nella misura in cui ha acceso una polveriera preparata da almeno due eventi antecedenti.
Il primo risale agli anni ’80-’90 del ’900, quando l’Europa ha definitivamente sacrificato i propri valori fondativi (la “solidarietà tra popoli”, principio sul quale si erano incontrate le tre anime – cristiana, liberale e social-democratica – dei padri fondatori ed era stata edificata l’unità continentale) all’altare della cultura liberista di matrice statunitense (una svolta, questa, che ha conosciuto, tra i suoi più paradigmatici momenti, le esclusive clausole finanziarie di appartenenza all’Ue, sancite a Maastricht, e il trattamento tutt’altro che solidale riservato a uno Stato membro come la Grecia, negli anni bui della sua recente crisi economico-finanziaria).
E dopo, dal 2008, quando una crisi globale, partita dagli stessi Stati Uniti, ha scosso i sistemi finanziari, economici e occupazionali di tutto il mondo, sdoganando, nell’Unione, strangolanti politiche di austerity finanziaria, in una temperie culturale già ormai convertita al neoliberismo.
Su un simile humus, la “crisi migratoria” degli anni più recenti ha fatto definitivamente deflagrare le basi di civiltà – prima ancora che fondative – dell’Europa: la violenta propaganda xenofoba dell’ondata prima populista e quindi sovranista (appoggiata dal trumpismo), che – trovando sponda nel blocco di Visegrad – ha minacciato di disgregare definitivamente l’Unione, ha indotto quest’ultima a rinnegare i propri principi e a cedere definitivamente sul piano dei diritti umani proprio in tema di rifugiati.
Onerosi e ripetuti finanziamenti e/o equipaggiamenti a Paesi terzi come Turchia, Libia e Bosnia per bloccare a ogni costo – compresa la violenza, anche quando sfocia in stupri e torture – i profughi in campi di detenzione forzata, spesso al gelo, senza acqua, fogne ed elettricità, pur di eludere il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra e dal diritto internazionale; opaco permissivismo nei confronti delle polizie di “civili” Stati membri che, lungo la rotta balcanica, respingono “a catena” i profughi con aggressioni con i cani, bastonate, sassate, bruciature, furti di vestiti e denaro, denudamenti e bagni di acqua gelida in pieno inverno; e, non ultimo, un Patto su migrazione e asilo che, bloccato da oltre un anno dal Consiglio europeo, pianifica, fino al 2025, politiche di gestione dei profughi che ancora una volta ne ledono i diritti umani fondamentali, anteponendovi gli interessi egoistici degli Stati.
Al pari del nostro razzista, anche l’Europa appare quanto mai bisognosa, oggi, di essere riumanizzata sulla base delle ragioni squisitamente antropologiche dell’accoglienza; di essere rieducata, cioè, a quei principi di civiltà che l’hanno fondata e che promanano dalla sua stessa cultura.
Nel 70° anniversario della Convenzione di Ginevra – che ha avuto il merito storico di sottomettere il diritto assoluto degli Stati moderni sulle proprie frontiere al diritto individuale del profugo all’accoglienza – IDOS si propone, con questo volume, di contribuire a tale riumanizzazione, individuale e collettiva, da cui ne va il destino e la destinazione comune.
(Luca Di Sciullo, Presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS)