Eccoci alla seconda porta della carità. Entriamo nella parrocchia di San Giacomo di Romano d’Ezzelino.
LA SECONDA PORTA
La porta della parrocchia di San Giacomo d’Ezzelino profuma di vernice fresca, di zuppa calda e pane. E se si avvicina l’orecchio si possono sentire chiacchiere informali e un tepore di famiglia. Quattro le chiavi che abbiamo a disposizione per entrare: lo stare in relazione, il servizio, il non aver paura e la testimonianza.
La chiave dello stare in relazione
Dal 2 maggio la cucina del centro parrocchiale si è trasformata in una mensa quotidiana, traducendo “quel dare da mangiare agli affamati” che è risuonato in quest’anno di giubileo straordinario in quanto una delle opere di misericordia.
«Abbiamo chiamato quest’iniziativa “mensa di solidarietà – spiega il parroco, don Moreno Nalesso – Il desiderio era di impegnarsi affinché il cibo “sprecato”, già cotto o non più vendibile perché in via di scadenza o in confezioni rovinate, non andasse gettato via per nulla».
Così un gruppo di 50 volontari del circolo Noi e della Caritas parrocchiale si sono mossi e hanno attivato delle convenzioni con ristoranti, mense, panifici, supermercati e fornitori alimentari sul territorio. «A fine giornata alcuni di noi passano a ritirare i cibi cotti o invenduti, come anche frutta e verdura troppo matura, e il tutto arriva nei locali della cucina».
Qui a turno un gruppetto di 6 cuochi prepara la cena per 60 ospiti: tutti i giorni della settimana, infatti (compreso il sabato e la domenica), 30 coperti vengono garantiti direttamente alla mensa, altri 30 vengono portati a domicilio a famiglie in difficoltà. «Il fatto di avere una cucina già attrezzata e perfettamente a norma ci ha permesso di partire subito con il progetto. Ma abbiamo attuato, e lo stiamo ancora facendo, delle migliorie perché non sia solo un “ti diamo da mangiare”, ma si possa creare un clima di serenità e famiglia anche attraverso gli arredi».
Dalle 18.30 alle 19.30 la mensa della solidarietà si apre a tanti, tutti residenti nel comune o nel vicariato o nei comuni vicini, che si trovano in situazione di povertà. «C’è una povertà economica contingente – sottolinea don Moreno – ma anche umana. Che si traduce in disagio psicologico e in grande solitudine. Notiamo come sia grande il bisogno di socializzazione delle persone che vivono sole: cenano qui e vengono volentieri perché sanno che poi si vive del tempo assieme. Qualcuno anche si ferma per partecipare alle attività e incontri della parrocchia: cominciano a sentirla come casa loro».
La chiave del servizio
Di fronte a questa povertà è necessario essere preparati. «Non è sempre facile saper stare accanto in maniera positiva a chi arriva alla mensa. A volte arrivano tesi, oppure fanno richieste e basta… Dobbiamo avere la consapevolezza che con alcune persone noi possiamo solo dare, non pensare di poter ricevere anche qualcosa. Siamo a servizio. Con lo stile del mettersi a servizio. Ed è necessario anche verificare e raccontarci le relazioni tra di noi volontari. La scorsa settimana abbiamo fatto un’assemblea cui ha partecipato anche don Luca Facco, direttore di Caritas diocesana. Ci ha lasciato alcuni spunti di riflessione davvero interessanti chiedendoci anche un continuo confronto tra noi per capire e vedere come siano i nostri rapporti. E devo dire che il clima è davvero buono!!! I volontari fanno gruppo ogni sera e insieme riescono a smussare alcune durezze, imparano a gestire le osservazioni e a relazionarsi anche con le persone in difficoltà».
Del gruppo fanno parte per la maggioranza adulti, ma anche qualche giovane comincia ad affacciarsi a questa proposta di servizio.
La chiave del non aver paura
L’iniziativa in paese non è stata accolta con grande apertura: sospetti, ritrosie e paure sono state manifestate anche dall’amministrazione comunale. «Abbiamo con il tempo dimostrato – racconta il parroco – che chi accede alla mensa, vi arriva con un tesserino, rilasciato da Caritas solo alle persone residenti in questo comune o nel vicariato o in qualche comune limitrofo. Col tesserino si può accedere per due o tre mesi al servizio, tutti i giorni o solo alcuni, per non creare dipendenze e lasciare autonomia alle persone. A oggi il 30 per cento dei nostri ospiti è straniero, il 70 italiano».
Tra volontari e ospiti si stanno creando delle belle relazioni e scambi, come pure con le Caritas vicine. «Verrà a conoscere quest’esperienza anche la Caritas di Asolo. Si sta davvero sviluppando un lavoro e un interesse a rete che ci dice che stiamo lavorando nella giusta direzione».
La chiave della testimonianza
«L’iniziativa è partita come “Trasforma lo spreco in risorsa”, oggi l’obiettivo è tentare di trasformare le persone che vengono a cena da noi in risorsa da scoprire: alcuni si fermano a spreparare, ad altri abbiamo chiesto di svolgere qualche servizio in parrocchia, come aiutarci a sistemare le stanze per serate dedicate o a ripulire dalle foglie gli spazi esterni… Piccoli segni che indicano che qualcosa sta maturando».
Ma il desiderio è che diventi una testimonianza di carità capace di provocare la parrocchia. «Dobbiamo andare oltre a questa chiusura dei nostri tempi o ai no preventivi! La nostra zona è già caratterizzata da un forte impegno nel sociale. Ma tra i volontari cominciano ad uscire alcune riflessioni su cosa voglia dire “gratuità” ad esempio… Dobbiamo aiutarci a maturare nel servizio e nell’attenzione all’altro, anche senza pensare di ricevere qualcosa in cambio. Desideriamo davvero che la mensa di solidarietà diventi un segno di testimonianza per i gruppi parrocchiali, i ragazzi della catechesi, i genitori che seguono il percorso di iniziazione cristiana! Che non sia un settore chiuso a sé stante ma pietra concreta nella vita ordinaria della comunità».
Claudia Belleffi