don Francesco Resini (Arzercavalli (PD), 18.10.1936 – Monselice (PD), 24.08.2023)
Don Francesco Resini, di Luigi e Maria Qualdi, nasce ad Arzercavalli il 18 ottobre 1936.
«Ringrazio il Signore del dono della vita, della mia famiglia che mi ha aiutato tanto a diventare sacerdote. Anche se non ricca, mio padre sentiva il dovere di versare in tempo, ogni trimestre, la retta del Seminario, usando i soldi degli stipendi delle sorelle e dei fratelli che lavoravano».
Viene ordinato presbitero il giorno 8 luglio 1962. Il primo incarico lo vede cooperatore a Pianiga fino al maggio 1964, quando viene destinato alla missione diocesana in Kenya, dando forma ad un desiderio che lo aveva accompagnato da sempre. Don Francesco avrebbe voluto portarsi in Brasile: viene invece inviato a Londra, per l’apprendimento dell’inglese, in una città cosmopolita che suscita in lui ammirazione e curiosità e a gennaio 1965 parte dal porto di Venezia. La lunga attraversata, il mare, Porto Said, il Canale di Suez, Mombasa, l’accoglienza dell’Istituto della Consolata di Torino che introduce i missionari ai luoghi dove sarebbero stati destinati: gli inizi di don Francesco sono gli inizi della presenza padovana in Kenya, nel distretto del Nyandarwa. Tetu è la prima missione di don Francesco, nella diocesi di Nyeri, a 140 Km da Nairobi. Di lì a poco, Mons. Cesare M. Gatimu diventa il primo vescovo originario del luogo:
«Era un avvenimento per la Chiesa locale: un Vescovo africano avrebbe potuto parlare ai suoi africani nella loro lingua, usando i loro proverbi, inserendo nella liturgia preghiere e gesti significativi della loro cultura. Erano gli anni del Concilio Vaticano II e possiamo dire che la Chiesa africana è nata con il Concilio: cristiani generosi, aperti al nuovo, riconoscenti al mondo e alla Chiesa per la libertà ottenuta (…) Ho sempre avuto ammirazione verso la cultura africana, per il suo rispetto per la vita e la persona, anche se povera e illetterata; rispetto grande verso Dio, ritenuto unico datore di vita, e l’uomo creatura limitata».
Quando la diocesi di Nyeri riceve dal Governo un vecchio edificio per farne un ospedale, don Francesco vi lavora con le Piccole Figlie di S. Giuseppe, dando assistenza spirituale a religiose, infermiere e malati, sostenendo
l’amministrazione ed anche improvvisandosi meccanico, motorista, elettricista, falegname e soprattutto interprete. Stava prendendo vita quello che poi sarebbe diventato l’attuale ospedale di North Kinangop. Successivamente don Francesco diventa parroco a Manunga: in una delle comunità di competenza, Passenga, compiva i primi passi nella fede Mons. J. Mbatia, successore del vescovo Mons. L. Pajaro alla guida della nuova diocesi di Nyahururu, dopo il distacco da Nyeri. Don Francesco torna dal Kenya definitivamente nel 1988.
«Alla fine di quella esperienza, che ha lasciato un’impronta profonda nella mia vita, lasciando quei cristiani, ho dovuto riconoscere che era stato più quello che avevo ricevuto, di quello che ero riuscito a dar loro». «Tornai definitivamente in Italia a maggio 1988. Ero confuso, inebetito; mi chiedevo perché fossi tornato in Italia: chi poteva aver bisogno di me in una qualsiasi parrocchia della diocesi di Padova?».
Destinato a Camponogara, vi entra come parroco nell’ottobre successivo.
«Ho sempre ringraziato i fedeli di Camponogara per aver atteso con grande pazienza e carità che mi orientassi tra tutti i programmi del mio predecessore, don Vittorio De Fanti: anniversari, novene, celebrazioni, gite, campi-scuola, pellegrinaggi… Anche lui fu attento verso di me e continuava a dire alla gente di avere pazienza, che mi sarei abituato. Lentamente, anno dopo anno, cominciai ad entrare nel giro delle cose. Ricordo con simpatia i catechisti, che cercai di seguire con molta attenzione e impegno, perché vedevo in loro le persone più vicine al sacerdote nell’attività pastorale. Ricordo gli incontri dei gruppi famiglia del sabato sera, dove nacquero belle amicizie. Notai con gioia l’attaccamento dei fedeli ai loro sacerdoti».
A Camponogara don Francesco è presenza umile e silenziosa, buona e sorridente, cara e paterna. Entra con discrezione nelle famiglie, offre ascolto e consiglio, ama con pazienza, apre a tutti la canonica, è vicino ai piccoli e anima la sensibilità missionaria, senza dimenticare le opere parrocchiali (restauro della chiesa, migliorie nel campo sportivo e nella Scuola dell’infanzia). Viene definito «un piccolo uomo, ma con una forza straordinaria e una fiducia incondizionata nelle persone».
Nel 1999 don Francesco viene inviato come parroco a Villa Estense, dove si mostra contento della sua vocazione, ricco di passione e contraccambiato nell’affetto. Il bagaglio delle esperienze precedenti si unisce al sorriso, al suo continuo mettersi in gioco con i ragazzi, alla passione per la lettura e la fotografia, e alla memoria che gli permette di ricordare i nomi delle persone. Sin da subito si impegna a lavorare in armonia con gli Organismi parrocchiali, con i gruppi, con l’Amministrazione Comunale e con le Associazioni presenti a Villa Estense. Non sono mancati molti ed impegnativi lavori nei fabbricati di pertinenza della parrocchia (relativi, ad esempio, alla chiesa e a Villa Peruffo, attuale Centro parrocchiale).
«Ringrazio tanto la Parrocchia di Villa Estense di cui ricordo con simpatia i giovani del coro parrocchiale che si fermavano in chiesa anche dopo la Messa per provare i canti per la Domenica successiva. Grazie alle famiglie di Villa Estense che mi accoglievano tanto volentieri per la benedizione delle case».
Nell’ottobre 2014 diventa rettore del Santuario della Beata Vergine della Misericordia, a Terrassa Padovana, «Santuario che ho frequentato fin da fanciullo accompagnato da nostra madre specialmente per la festa dell’8 settembre e dove era dolce celebrare le prime Sante Messe novelle dopo l’Ordinazione sacerdotale. Ringrazio il Signore dei miei anni di vita, non sono pochi, e della salute di cui ancora godo. Questo mi dà la grazia di rendermi ancora utile ogni giorno per il servizio presso il Santuario. Ora, vedi Tu Signore, cosa vuoi fare di me».
Don Francesco ha la gioia di vedere il Santuario luogo della “Porta Santa” (assieme alla Cattedrale e al carcere Due Palazzi) durante l’Anno della misericordia, nel 2016: persone, categorie, gruppi e parrocchie si portano in pellegrinaggio a Terrassa, fino alla conclusione di novembre, quando alla celebrazione di chiusura si aggiunge un centinaio di migranti di fede cristiana ai quali don Francesco, in perfetto inglese, dice: «Non sarete mai soli».
Nel luglio scorso un ictus improvviso lo porta al ricovero presso l’ospedale di Padova e successivamente a Schiavonia, dove muore il 24 agosto, nelle primissime ore della giornata.
«Ho lavorato nella vigna del Signore. Non mi sono mai tirato indietro. Non mi sono mai attaccato ai soldi; ho sempre tenuto alla trasparenza, alla semplicità e cordialità dei rapporti. Non so dove abbia letto le parole significative che voglio riportare qui di seguito: “E adesso me ne vado. La scrivania resterà vuota per un po’; poi verrà un nuovo a prendere il mio posto. Come viene buio in fretta in questo inverno avanzato. Come viene sera presto in questa vita e rimane solo quanto abbiamo saputo amare!”. Ho sempre creduto in un Dio sorprendente, che conserva il vino buono per la fine».
«Signore, se desideri che io deponga gli strumenti del lavoro e lasci la tua vigna sia fatta la tua volontà. Il bene che mi hai avuto, Signore, è tanto e tanta è la pazienza che hai avuto con me. Ringrazio tutti coloro che mi hanno voluto bene e chiedo perdono a quanti avessi recato dispiacere».
Le esequie saranno celebrate nel Santuario di Terrassa Padovana sabato 26 agosto, ore 9.30, dal vescovo Mons. Francesco Biasin, originario di Arzercavalli. La salma di don Francesco riposerà nel cimitero del paese natale.