Il meteorite Covid-19 sta impattando non poco anche sul nostro sistema scolastico: l’universo più o meno ordinato della scuola italiana, a partire dalle sue decennali scadenze, è stravolto da questo evento epocale. Come ogni cambiamento, esso determinerà la perdita di alcune caratteristiche che sembravano essenziali, ma permetterà di recuperarne altre forse dimenticate e di scoprirne di ulteriori. Per obbligo di brevità mi soffermo su tre aspetti che, spero, si stiano (ri)scoprendo.
La scuola è una ricchezza per il nostro paese, per ogni paese, e chi nella scuola lavora dovrebbe avvertire, insieme alla grande responsabilità che gli compete, il riconoscimento da parte dei proprio concittadini di un compito umano e sociale fondamentale che si affianca (non può mai sostituirsi) a quello prioritario della famiglia: educare.
L’oggetto dell’educare: la scuola non è semplicemente trasmissione enciclopedica di dati o luogo di confezionamento di competenze. Essa ha come fine l’educare alla vita, aiutando il giovane a porsi le domande più profonde su di essa e accompagnandolo a trovare delle risposte significative.
Lo stile del fare scuola: non mi era mai capitato di cogliere, trasversalmente, dal bambino di quattro anni all’adolescente di diciotto come anche dal docente maturo il desiderio di poter tornare presto a scuola. Ciò che manca di più è il valore aggiunto della comunità, fatta di relazioni, di regole, di condivisione di successi e di sconfitte, di confronto con il “tu” prossimo del compagno o con quello asimmetrico dell’insegnante. Ciò che insomma non può essere sostituito dalla “didattica a distanza”, per quanto efficienti siano le tecnologie e avanzate le tecniche di trasmissione.
Peccato che per riesumare dall’oblio l’attenzione per la scuola e il suo compito si sia attesa una tragedia così grande. Ci auguriamo che, quando l’avremo superata, tutto non ritorni come prima… anche nella scuola!
don Lorenzo Celi, direttore Ufficio di Pastorale dell’Educazione e della Scuola
6 aprile 2020