Ordinazioni presbiterali di don Eros Bonetto e don Luca Gottardo
Padova, basilica Cattedrale
Domenica 5 luglio 2020
Dobbiamo ammettere che siamo un po’ fuori dal mondo e che ci collochiamo in logiche che scienziati, intellettuali, politici, manager non possono capire. Fino a qualche tempo fa c’era maggiore sintonia tra noi e il mondo ma oggi la nostra fede sembra aver perso linguaggi e segni capaci di essere compresi.
Eppure se ci collochiamo in prospettive “altre” rispetto a quelle del mondo e della società, lo facciamo per il mondo al quale siamo mandati per amarlo, per servirlo, per dargli anima.
Oggi questa relazione è faticosa perché ci accorgiamo che spesso deludiamo le attese della gente. Noi stessi, responsabili di comunità cristiane, siamo stati educati e abbiamo insegnato a chiedere alla Chiesa iniziative, presenze, servizi che adesso non siamo più in grado di dare e che, a ben pensare, non riteniamo nemmeno essenziali. Il Covid ha messo in evidenza che il mondo può vivere senza i servizi della Chiesa, quei servizi per i quali eravamo tanto ricercati e che erano spazio di dialogo e di incontro con tutti.
La crisi che stiamo attraversando riguarda il senso: il senso della Chiesa, dei ministeri, delle liturgie e preghiere e, con un dilagare continuo, il senso delle nostre cose: chiese, patronati, attività.
Carro da guerra e arco di guerra, cavalli forti, quelli che vengono da Gerusalemme, di cui parla il profeta Zaccaria sono immagine della nostra forza umana. Non servono. Vengono fatti sparire, spezzati. Eravamo abituati a presentarci con “cavalli e cavalieri”, con potenza e forze umane, ostentate e attraenti.
La figlia di Gerusalemme, cioè la comunità dei credenti, esulta invece per l’azione di Dio stesso, non per la propria. Il Re è presentato nella sua debolezza e fragilità: è un salvato, un uomo reso giusto dal Signore. Non viene con una forza propria ma è consapevole della propria fragilità e come un piccolo trema davanti a Dio e alla sua parola. È uno dei piccoli, confuso con i piccoli, povero con i poveri. La sua forza è il Signore, come fu per Davide di fronte a Golia. Il re, il grande re atteso dalle genti, viene cavalcando un puledro d’asino!
Eppure il profeta invita alla gioia. Dice esulta grandemente, giubila! E nel suo carisma profetico la liturgia oggi ci ha fatto cantare: «Benedirò il tuo nome per sempre, Signore». Perché? Perché ancora, noi piccoli, nella misura della nostra piccolezza, vediamo l’intervento di Dio. Non nel frastuono, non nella potenza, non nel successo.
Anche stasera vediamo l’intervento di Dio nella storia di Luca e di Eros; una storia che comprende, famigliari e amici. Ci è rivelato l’intervento di Dio nello sguardo che il Signore ha posato su loro chiamandoli come ha fatto con Davide, che era il più piccolo ed era stato addirittura escluso, come ha fatto con il popolo di Israele, il più piccolo tra tutti i popoli, come ha fatto con Maria, come ha fatto con me e come ha fatto con tutti noi.
Il mondo (che è anche nel nostro cuore) non si aspetta debolezza, inadeguatezza, povertà; e quella parte di mondo, o di mondanità, che abita in noi e confonde il nostro cuore ci porta ad affannarci tanto, a correre, a volte a concorrere con il mondo come se dalle nostre abilità, visibilità, dalle nostre sapienze e dai nostri studi nascesse la salvezza del mondo. 22.000 uomini aveva radunato Gedeone per sconfiggere i madianiti ma perché non si pensasse che fossero gli uomini a determinare vittoria o sconfitta il Signore ridusse il suo esercito a trecento. Non con la nostra forza, anzi non noi ma Dio salva il mondo e noi siamo soltanto piccoli strumenti.
Per questo noi, discepoli del vangelo, non dobbiamo temere per la nostra fragilità, né vergognarci di presentarci a dorso del nostro piccolo asino.
Anche Gesù ha sorpreso per la sua debolezza. Il brano di oggi è inserito in un contesto di insuccessi, di incomprensioni, di opposizione: Giovanni è stato incarcerato, le città – Corazin, Betsaida, Cafarnao – lo rifiutano, la gente lo apostrofa come mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Aveva deluso, non solo sorpreso, il mondo.
Era venuto per il mondo, per amarlo, servirlo, per dargli la sua stessa vita ma il mondo non lo ha riconosciuto. Invece lo riconoscono e l’accolgono gli affaticati e gli oppressi, i piccoli. Magari fossimo davvero piccoli anche noi! Beati, direbbe il Vangelo, perché vostro è il Regno dei cieli!
Si è presentato senza ricchezze e forze umane, ma tapino, povero, debole e fragile e i piccoli lo hanno visto, riconosciuto e accolto.
Eros e Luca, lo Spirito che anima la nostra Chiesa non secondo la carne ma secondo il cuore del Padre, oggi vi riveste della missione pastorale di Gesù stesso e vi indica di seguire il suo stile missionario. Vi riveste di umiltà e di mitezza per essere testimoni credibili della sua presenza e della sua missione e per portare l’annuncio della salvezza di Dio.
Imposizione delle mani, unzione con il santo crisma, vesti sacerdotali che si appoggiano sulla veste del vostro battesimo e su quella del vostro diaconato, preghiere e canti di questa assemblea, la partecipazione dei santi, assemblea del cielo, che invochiamo come intercessori: tutto perché avvenga il miracolo della vostra conformazione al Signore Gesù, mite e umile di cuore. È una bella indicazione spirituale per il vostro ministero, una bellissima parola che appoggiamo sulle vostre spalle, una parola dolce e dal peso leggero: mitezza e umiltà; la mitezza e l’umiltà di Gesù.
Il cammino umano verso la mitezza e l’umiltà vi conformerà a Gesù, alla sua fede nell’amore del Padre e alla sua deliberata scelta di stare con gli affaticati e gli oppressi. Questo per voi sia lo stile con il quale consegnare la vostra vita al Padre.
Accanto allo stile di Gesù, vorrei anche indicarvi due priorità da esercitare con mitezza e umiltà. Sono compiti che spostano il baricentro e conferiscono al ministero del presbitero, anche se giovane, una nota da “presbitero” appunto. Ne ha parlato anche il santo Padre il 29 giugno e io ne ho parlato alla comunità di Bronzola alla quale ho chiesto di pregare per voi secondo questa intenzione.
Andate alle comunità di cristiani per servire l’unità. In tutte le realtà umane si insinua il veleno della divisione e della separazione ma voi andate e fate in modo che dove si celebra l’Eucaristia cresca la comunione fraterna. Perdonate e riconciliate chi offende la comunità, cercate chi si allontana, chiamate e cercate chi è disperso, ospitate, ascoltate tutti, ascoltate chi è sofferente o stanco in particolare. Pagate voi il prezzo della riconciliazione, frapponetevi tra chi si combatte. Vedrete quante cose, parole, scelte vengono inventate (dal Diavolo) come pretesti per dividere. Spesso si tratta di cose buone (lavoro, cultura, sport); spesso ci si divide scivolando lentamente via o fuori (stanchezza, amicizie, interessi nuovi). Voi andate a chiamare alla relazione e ricucite gli strappi. Non svilite a devozione l’Eucarestia che sarete chiamati a presiedere perché è il sacramento dell’unità e della pace di quella precisa comunità.
Per svolgere questo servizio avete con voi la certezza che questa è la volontà di Dio alla quale voi questa sera ancora una volta vi consegnate.
In secondo luogo vi chiedo di avere il coraggio della profezia. Cioè la vostra amicizia con il Signore Gesù vi renda capaci di aprire strade nuove di bene, di vangelo, di umanità. In forza di questa amicizia scrutate l’orizzonte, verso i confini tra cielo e terra ed insegnate ai vostri fratelli e sorelle i sentieri per raggiungerli. È il Signore che vi attrae, è il suo amore per voi che vi chiama e dalla forza di questa attrazione la vostra parola e la vostra testimonianza ricevono autorità. E la vostra vita si trasforma in profezia.
Se invece di amare il mondo ci adeguassimo al mondo e alle sue logiche, perderemmo sapore e significato. E anche se tutti ci apprezzassero per sapienza e intelligenza, per forza e potenza, per influsso o notorietà non saremmo sulla sua strada.
Ecco dunque che cosa le letture di oggi mi hanno suggerito per voi e per la nostra Chiesa. Uno stile – quello di Gesù – e due compiti: servire l’unità e il coraggio della profezia.
Ho anche una certezza: il servizio all’unità che scaturisce dall’Eucarestia e il dono della profezia, sono realizzabili soltanto con mitezza e umiltà, ma quelle di Gesù. Oggi inizia il vostro cammino al suo seguito per imitarlo come pastore, per assomigliargli e identificarvi in lui, poco a poco, giorno dopo giorno.
Avete una vita davanti per conformarvi sempre più a lui.
Lo faremo tutti insieme.
+ Claudio Cipolla, vescovo di Padova