In questo tempo di carestia dilagante, di abbracci negati, di reclusione forzata, mentre i giorni scorrono, si insinua sempre più in tutti noi un crescente senso di angoscia, di dolore e di morte. I giorni sono quelli del pianto, delle lacrime che rigano i nostri volti. E tuttavia siamo chiamati a scegliere tra speranza e disperazione. Già, ma quale speranza? Quali parole di fiducia possiamo pronunciare oggi? La speranza che intendo è diversa da quella cantata i primi giorni di epidemia dai balconi delle case, e anche da quella racchiusa nell’espressione, ripetuta da tutti come un mantra: “andrà tutto bene, andrà tutto bene”. È una speranza diversa anche dal desiderio: non basta desiderare che vada tutto bene perché ciò accada. È una speranza che deve essere liberata dalle formule magiche. La speranza è quella con la pelle ruvida, più vicina alla vita; è quella che porta i segni delle fatiche dei medici stremati; è la speranza ferita dalla morte di persone care e dal suono delle ambulanze che solcano le strade deserte delle nostre città. È una speranza che va costruita oggi, non da soli ma insieme, vivendo il tempo presente non come una pausa della nostra vita, ma standoci dentro fino in fondo, lasciando affiorare parole che creino un contatto dove non c’è il tatto.
La prima parola è umiltà. La speranza è la più umile delle virtù, che soltanto i poveri possono avere. Riconoscerci più poveri è riconoscerci tutti più vulnerabili e abbandonare «il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per permettere nuove forme di fraternità»[1].
La seconda parola è fiducia. Abbandonarci al Signore, affidargli le nostre paure, le nostre domande, sicuri che tutto volge al bene, anche nelle prove più dure della vita. Sicuri che tutto è cammino verso la Risurrezione.
La terza parola è pazienza. La speranza ha bisogno di pazienza, di cura continua, di ricercarla ogni giorno. Siamo invitati a curare le piccole cose quotidiane, a non abbandonarle, a cominciare dalla cura per la nostra casa (alle volte così dimenticata!), per i nostri familiari e amici, ad avere tutte le attenzioni necessarie, come se si trattasse di curare il mondo intero.
don Giorgio Bezze, direttore Ufficio per l’Annuncio e la Catechesi
31 marzo 2020
[1] Papa Francesco, Omelia nel tempo di epidemia, 27 marzo 2020.