La quaresima di questo tempo così sospeso tra incertezze, timori e domande, più che un cammino verso la Pasqua, sembra assomigliare a un lungo sabato santo. Il sabato del triduo pasquale è il giorno dell’«assenza» di Dio, è il giorno di quel grande silenzio che nessun gesto liturgico può in alcun modo sostituire. È come se i credenti trattenessero il respiro dopo la sconvolgente contemplazione del Dio Crocifisso, il Dio abbandonato dagli uomini e lasciato a se stesso. In questa quaresima inaspettata, assieme ai gesti più ordinari di affetto e relazione della vita quotidiana (una stretta di mano… un bacio… un abbraccio), stiamo digiunando anche dai segni ecclesiali della fede. Non ci raduniamo da settimane nell’assemblea eucaristica: insieme non ascoltiamo più la Parola e non cantiamo, insieme non chiediamo e non doniamo il perdono e la pace, insieme non mangiamo più il pane che crea comunione tra il cielo e la terra e che ci rende Chiesa, «Corpo di Cristo».
Sentiamo l’assenza di questi gesti così semplici e, allo stesso tempo, concreti: forse perché non sono solo «segni» e non è proprio così vero che, per credere, «basta il pensiero». La nostra fede – come la vita di tutti i giorni – vive anche di corpo, di tatto e di con-tatto: con Dio, e con i fratelli e le sorelle che credono. E allora, non ci dovrebbe stupire se, in questo tempo, percepiamo la sofferta nostalgia dei gesti sacramentali: una fede «senza corpo» è evanescente, e un cammino fatto sempre da soli, ben presto ci stanca. E come la vita fin dai primi inizi è, sì, unione di corpi, ma pure distacco – la nascita è solo il primo distacco di una lunga serie – così dovremmo ricordare che anche la fede e i sacramenti sono il frutto di quella strana lontananza consumata sulla croce e vissuta nel sabato del grande silenzio. Ma, nella vita, la mancanza di ciò che si vorrebbe essere o avere, fa nascere il pensiero, i progetti, l’ingegnarsi, la fantasia… L’assenza dei sacramenti non li rende inutili, ma ancora più efficaci: si apre per noi lo spazio del desiderio e dell’attesa, nella coscienza che esiste un vincolo profondo e invisibile che unisce tutti i credenti in Cristo. Non è un caso, se proprio per questi gesti preziosi della nostra fede, la Chiesa ha da sempre creduto che avere in sé il desiderio dei sacramenti è già sacramento.
don Fabio Frigo, docente teologia dogmatica, Facoltà teologica del Triveneto
24 marzo 2020