In questi giorni tante persone con compiti amministrativi oppure di rilievo dal punto di vista comunicativo ci hanno invitato e ci invitano a restare a casa. A proteggere gli altri e noi stessi, donandoci l’opportunità di stare fermi. È uno stare fermi non solo fisico, ma soprattutto riflessivo, quasi un esercitare il pensiero, ritrovandoci tra le mani varie domande, che questo tempo di disorientamento, amplifica.
Stare con le nostre domande significa forse anche non pretendere di arrivare a risposte esaustive e definitive. Così è venuta l’intuizione di questo strumento, piccolo e senza pretese, che troverete nei vari mezzi di comunicazione diocesani, intitolato #iorestoacasaepenso. Vorrebbe essere più un viaggio interiore, nel senso che prende da ciò che sta succedendo fuori di noi per portarlo dentro di noi e farlo maturare come crescita in umanità, senza trascurare l’incertezza di ciò che riusciamo a vedere, la fragilità della nostra impotenza, il limite delle nostre stesse parole.
Siamo partiti dalle domande più normali e continuative che ci attraversano: perché essere così obbedienti alle leggi dello Stato quando c’è in gioco la fede? Si può essere cristiani anche senza celebrare l’Eucaristia? C’è il rischio che ci disaffezioniamo ai gesti della fede? Perché il rito e la comunità sono così importanti? Stiamo, forse, desiderando un Dio che risolva d’incanto tutti i nostri problemi? Come intendere una prassi penitenziale adesso che è più difficile confessarci e cosa confessare? Quale Vangelo, parola buona, annunciare oggi? Si può amare anche senza gesti concreti di prossimità?
Abbiamo chiesto a qualche amico competente, di introdurci e di scavare le domande in modo da essere aiutati a muovere qualche passo, nel segreto della nostra stanza, dove il Padre buono ci vede, illumina e consola la nostra ricerca e preghiera.
Ci siamo anche chiesti se non era il caso di attraversare questo tempo in silenzio, senza sovraccaricarlo di parole e commenti, già fin troppo abbondanti. Ci siamo domandati se non era il caso di accettare questo deserto, ambiente in cui le parole si fanno naturalmente più rarefatte e attraverso questo vuoto lasciarci guidare alla terra promessa.
Abbiamo optato per questo viaggio, credo per un motivo fondamentale. Abbiamo bisogno di sentirci in relazione, le relazioni vanno coltivate anche con le parole. In attesa di diventare gesto pieno: abbraccio, pianto e festa, stretta di mano, corpi che si incontrano e riconoscono.
Da lunedì 16 marzo a sabato 4 aprile ogni giorno una domanda ci porterà nel deserto, ci farà entrare in relazione con i nostri pensieri e con gli altri fino all’Altro per eccellenza che è il Signore Gesù. Appunto #iorestoacasaepenso.
Vorrei chiudere con una frase di Etty Hillesum, nella lettera del 30 settembre 1942 del suo Diario «E, là dove si è, esserci al cento per cento. Il mio “fare” consisterà nell’“essere”».
don Leopoldo Voltan, vicario episcopale per la pastorale